Chiedere trasparenza nella gestione della cassa? Può costare caro

La Cassazione ha condannato un membro della Coldiretti che ha intimato a un collega di “tirare fuori i conti”. E i Fiorito di tutti gli enti tirano un sospiro di sollievo

Politici ladri, enti saccheggiati e tutti a chiedersi, a ragione, come mai nessuno ha controllato. Come mai nessun collega onesto ha alzato la mano e ha detto: “I conti non tornano. Qui c’è qualcuno che ci mangia”. Sembra facile. L’eventuale “grillo parlante” del partito o dell’istituzione in pericolo avrebbe rischiato una condanna. Come è successo a un membro della Coldiretti di Vercelli e Biella che aveva osato chiedere al suo interlocutore, sospettato di gestire in modo poco trasparente la cassa, di “tirare fuori i conti”. Il caso è appena approdato in Cassazione. E il portavoce dell’indignazione dei colleghi ha avuto la peggio, con una condanna per ingiuria aggravata e un risarcimento danni.

Per la Suprema corte, soprattutto in un contesto pubblico, non è lecito denunciare la “scarsa trasparenza” nella gestione dei conti. Equivale infatti ad accusare qualcuno di essere “aduso a sotterfugi”. Teatro della vicenda, un’assemblea elettiva della Coldiretti di Vercelli e Biella nel corso della quale A. M. aveva preso la parola per attribuire ad A. D. “una gestione economica truffaldina”, invitandolo a “tirare fuori i conti”. Attirandosi una denuncia e nel marzo 2011 una condanna del tribunale di Vercelli per ingiuria aggravata con tanto di risarcimento danni. A. M. si è difeso in Cassazione sostenendo che la sua intenzione “era quella di denunciare la mancanza di trasparenza dei conti della Federazione” e che aveva dato voce “alla indignazione collettiva”, segnalando la “natura meramente politica della polemica”.

La Quinta sezione penale ha bocciato il suo ricorso e confermato le motivazioni del giudice di Vercelli, rilevando che “legittimamente il tribunale ha osservato che l’invito o meglio la sfida rivolta da A. M. ad A. D. affinché tirasse fuori i conti della gestione, in un contesto nel quale l’imputato definiva truffaldina la gestione economica della Federazione, equivaleva a dipingere l’interlocutore quale responsabile della gestione come soggetto aduso a sotterfugi o comunque a condotte illecite”.

Inoltre, ha fatto notare ancora la Cassazione, “a fronte delle espressioni” utilizzate, “è indifferente la finalità che si vuole perseguire”. Non conta cioè che il condannato volesse solo evitare un “caso Fiorito” nella sua Coldiretti.

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