Clima da 25 luglio nella Lega: fuga dal Cerchio contro le purghe

Clima da 25 luglio nella Lega: fuga dal Cerchio contro le purghe

La fotografia la scatta un dirigente della prima ora: «Siamo al 25 luglio 1943, quando i fascisti salirono in montagna e poi scesero fingendo di essere partigiani». Benvenuti nella Lega del giorno dopo, quella in cui, con le purghe maroniane, è scattata anche la corsa al riposizionamento, con svariati salti fuori dal Cerchio, oplà.
Il primo a stupire è stato Roberto Calderoli, perché è stato il primo a mettere la faccia sulla richiesta di dimissioni a quell’ostinata di Rosi Mauro. «È stato costretto da Maroni - avvertono i cerchisti - non vedete il tempismo con cui viene tirato in mezzo alle carte dell’inchiesta?». Per lo stesso motivo, dicono, e cioè per non piegare la testa ai «diktat giacobini di Bobo», la Rosi avrebbe opposto resistenza. Veleni, il Carroccio in queste ore ne è intossicato.
Di sicuro però il «Calde» si sta muovendo cauto, per evitare che un piede messo male gli faccia perdere le redini del Carroccio. Non a caso nella serata dell’orgoglio leghista, per la prima volta non ha preso la parola nella sua Bergamo, consapevole del fatto che metà dei militanti era arrivata lì pronta a chiedere anche la sua testa: «È stato troppo vicino alla Rosi e a Belsito» commentavano i più agguerriti. Del resto, ci fosse stato uno in tutta la Padania a esprimergli solidarietà quando un’intercettazione lo ha tirato in ballo per la storiaccia dei soldi in Tanzania. E sì che Calderoli, coordinatore delle segreterie «nazionali», è da almeno un decennio il primo riferimento per tutti. Macché: ieri, tanto per dirne uno, Ettore Pirovano, presidente leghista della Provincia di Bergamo, si è preso la briga di dire che «mi spiace per Calderoli, ma in questo momento ci sono questioni di opportunità politica e di fiuto della base e mi pare che i consensi vadano in modo evidente a Maroni». Maroniano, Pirovano, si sa. Eppure c’era un tempo in cui Maroni e Calderoli erano considerati se non vicini, almeno non in guerra, e allora non occorreva schierarsi. L’era nuova, quella del «di qua o di là», è iniziata quando le truppe maroniane hanno ottenuto la testa di Marco Reguzzoni alla guida del gruppo alla Camera. Imperversava il toto-nomine per il successore, e Pirovano fu tra i primi a bocciare il bossiano Molgora: «Non è adatto».
Il fatto è che di questi tempi una casacca la devi indossare per forza. Solo Roberto Cota resiste a metà del guado: ieri il governatore del Piemonte ha detto che «Bossi resta il nostro riferimento», aggiungendo però che «ho sempre stimato Maroni». Per il resto è tutto un riallinearsi sul Carroccio del vincitore. La dice lunga il caso di Varese. Lì, dieci membri del direttivo provinciale su sedici hanno sfiduciato il segretario Maurilio Canton, a suo tempo imposto da Bossi in una drammatica assemblea. Raccontano i protagonisti di aver voluto investire della questione non il direttivo provinciale, ma direttamente il segretario dei lùmbard Giancarlo Giorgetti: «Così si dovrà schierare apertamente». Detto fatto, Giorgetti, da sempre equidistante da qualsiasi corrente, ha alzato la cornetta e a Canton ha detto qualcosa tipo: «Ti sfiducio io o fai da te?». Canton ha scelto la seconda, Giorgetti al suo posto ha messo un barbaro sognante senza se e senza ma come il senatore Massimo Garavaglia, e i cerchisti hanno abbandonato ogni speranza di un asse con i giorgettiani. E poi c’è il caso Liguria. Nella patria di Francesco Belsito, l’ex tesoriere in via di espulsione, il candidato sindaco del Carroccio, Edoardo Rixi, da giorni chiede «pulizia», dimenticando di aver collaborato per anni con Rosi Mauro. Di più. Dopo che alcuni dei suoi hanno firmato, proprio con gli uomini di Belsito, per la candidatura al congresso regionale del deputato Giacomo Chiappori contro la maroniana di ferro Sonia Viale, ieri Rixi ne ha preso le distanze, all’urlo di: «Mi auguro una candidata unitaria, la Viale è la favorita della base». Giura, Rixi, di essere uscito dal Cerchio già da qualche anno, eppure la candidatura di Chiappori risale al mese scorso. Proprio il deputato imperiese cui ora Rixi chiede un passo indietro, ieri gli ha dato una lezione di stile.

A Maroni che ha detto: «Non esistono correnti, perché tutti i leghisti sono barbari sognanti», Chiappori ha risposto, in beata solitudine: «Mai sono stato e mai sarò un barbaro sognante. La mia strada è quella indicata da Bossi, definendo noi leghisti non certo barbari sognanti, ma fratelli su libero suol».

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