Condannato Parolisi: «Ha ucciso Melania»

Condannato Parolisi: «Ha ucciso Melania»

Era un anno fa. Una maestosa torta a tre piani decorata con farfalle e fiori di pasta di zucchero, tutta colorata di bianco, rosa e fucsia: i colori di Hello Kitty, il personaggio preferito di Vittoria. Sopra due candeline, da soffiare, sognando il futuro. Tra palloncini e festoni, nonostante il dramma. La mamma non c'era, lei la cercava: non sarebbe mai arrivata. Melania era stata uccisa, morta accoltellata, sfregiata come una bambola rotta, in un bosco di Ripe di Civitella. Un domani che a due anni non si può immaginare, un presente che non poteva capire.
Un anno dopo Vittoria perde anche il papà, Salvatore Parolisi, caporalmaggiore reduce dalle guerre, seduttore in caserma con le reclute che addestrava. «Per questo, per il dover scegliere tra la moglie e l'amante», sarebbe diventato un assassino. Lui è rinchiuso in cella. E ci resterà. Così ha sentenziato ieri, dopo quattro ore di camera di consiglio, il giudice Marina Tommolini: ergastolo per il soldato Parolisi, 30 anni grazie al terzo dello sconto di pena previsto dal rito immediato. Vittoria adesso ha tre anni, gioca ancora con Hello Kitty, ma dal giorno della scomparsa della mamma lo fa nella casa dei nonni. I genitori di Melania, a Somma Vesuviana. I suoi avvocati avevano chiesto l'assoluzione con formula piena. Non c'erano vie di mezzo in cui cercare un appiglio stavolta: colpevole o innocente doveva essere. Un processo indiziario, nessuna «pistola fumante», niente ammissioni, solo una lunga, infinita serie di indizi (contro), di menzogne, di contraddizioni nelle quali era incappato il soldato. Al magistrato, così come agli investigatori, è bastato.
Alla lettura della sentenza una zia della vittima, applaude, davanti al portone di casa. Il padre di Melania, il suocero di Parolisi, invece piange a denti stretti. Composto, solo senza riuscire a frenare le lacrime. «Non ha vinto nessuno». Come dargli torto? In questa storia perdono tutti. Due famiglie e soprattutto una bimba rimasta «orfana».
Solo il fratello di Melania prova a trovare conforto nel verdetto: «La famiglia esce soddisfatta da questo processo, finalmente possiamo dire che Melania ha avuto giustizia- spiega all'uscita del tribunale-. Ma abbiamo il cuore straziato. È stato condannato il marito di Melania e il padre di Vittoria». Davanti all'abitazione di Somma Vesuviana, dove Vittoria assiste ignara, senza immaginare il suo mondo così cambiato, subito dopo la sentenza comincia una lunga processione. Parenti, amici, vicini, curiosi. Ognuno vorrebbe dire qualcosa, magari semplicemente dar loro un abbraccio.
Lo stesso nel quale la famiglia di Melania si era stretta uscendo dal tribunale di Teramo. Salvatore, anche stavolta, nel giorno del giudizio, dimostra poco coraggio. Si commuove quando si parla di sua figlia. In aula finora aveva sempre evitato gli sguardi, ieri al momento della lettura della sentenza è rimasto fuori, sulla soglia della stanza attigua dove attendeva di conoscere il suo domani. Quando gli è stato chiesto se volesse che il dispositivo fosse riletto ha risposto di no. Bastava la parola: ergastolo.
Gennaro Rea ha chiesto al giudice perché l'imputato non fosse lì. Lo voleva guardare in faccia. Il giudice, a quel punto, si è interrotto e ha chiamato Parolisi. Ma lui, ormai impassibile, aveva già ascoltato. E non si è fatto più vedere. «La speranza che non sia stato lui c'è, ma gli occhi parlano e neanche oggi abbiamo incrociato quelli di Salvatore», sussurra Gennaro.
Adesso al caporalmaggiore resta l'Appello, poi la Cassazione. Qualche sconto arriverà.

Ma la sua amante, la soldatessa Ludovica, con cui sognava una nuova vita, lontano da Melania, difficilmente sarà pronta ad aspettarlo. La piccola Vittoria, quel giorno sarà invece donna. A cui il padre, che non ha mai fatto in tempo a conoscere, deve risarcire un milione di euro.

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