E il mostro spread abbatte SuperMario

Il differenziale di rendimento torna ai livelli dell'insediamento di Monti. Il premier, stanco tra mercati e veti dei partiti, oggi vede i leader della maggioranza. Alfano lo blinda fino al 2013

E il mostro spread abbatte SuperMario

RomaUn pugile suonato. Monti sembra sempre di più un boxeur malconcio. Colpa dei ganci dello spread e dei montanti della speculazione che non s'arresta. Ma non solo: troppi veti dai partiti, troppe gimkane tra gli interessi corporativi, troppe incomprensioni tra i ministri, troppa solitudine. Neppure nel capo dello Stato il premier ha trovato la sponda desiderata per continuare a correre come quando era partito.
Il premier è particolarmente giù di corda a causa del mostro spread. Come sottolinea quasi quotidianamente l'ex ministro della Pubblica amministrazione, Renato Brunetta, con il Professore le cose non vanno affatto meglio. Anzi, forse vanno peggio. Brunetta, pignolo, confronta i dati e lo inchioda periodicamente: il rendimento medio ponderato dei Btp a 10 anni collocati sul mercato primario con le ultime sette aste del governo Berlusconi (maggio 2011-novembre 2011) è più basso dello 0,79 per cento rispetto al rendimento medio ponderato dei Btp a 10 anni collocati con le 7 aste del governo Monti (dicembre 2011-giugno 2012). E ancora: la riduzione degli spread, avvenuta tra metà dicembre 2011 e metà marzo 2012 (appena insediatosi Monti) si è verificata soprattutto grazie all'intervento della Bce che ha fornito liquidità al sistema bancario europeo per più di mille miliardi di euro a un tasso dell'1 per cento. In pratica la medicina Monti non serve a nulla. Uno smacco per il premier, annunciato come il salvatore della Patria, dipinto come il solo uomo in grado di abbassare la febbre del differenziale coi titoli tedeschi, osannato come l'economista in grado di toglierci dalle sabbie mobili. Invece no.
Da qui la frustrazione, ben visibile rispetto a novembre dell'anno scorso quando il Prof prese le redini del Paese. Un indebolimento e una spossatezza fatti presenti anche negli ultimi colloqui con il presidente della Repubblica, suo massimo sponsor e referente. A sfiancarlo anche i mille niet da parte della sua strana maggioranza, proprio oggi il premier incontrerà, separatamente, Alfano, Bersani e Casini. Partito col turbo da Formula Uno col decreto Salva Italia (tasse e riforma delle pensioni), Monti s'è trasformato in un camion diesel. S'è impantanato sulle liberalizzazioni, sul decreto sviluppo, sulle semplificazioni, sulla spending review ma soprattutto sulla riforma del mercato del lavoro. Avrebbe voluto, il premier, agire sull'articolo 18 come aveva fatto con le pensioni. Gli altolà sono arrivati persino dal Colle: no al decreto, sì alla concertazione, no allo stravolgimento dello Statuto dei lavoratori, sì a piccole correzioni. La sponda con il Quirinale non c'è stata e Monti s'è piegato come un gancio. Perdendo, ovviamente, smalto, credibilità internazionale e slancio riformatore. Stesse difficoltà incontrate col taglio alla spesa pubblica dove, in più, il premier s'è trovato contro persino i suoi ministri. A poco è servito chiamare in soccorso Enrico Bondi, mister-mani-di-forbice. E sono cominciate a piovere critiche da tutti: Squinzi in testa, che ieri ha incontrato Monti. Ma persino dai suoi amici opinionisti del Corriere della Sera. Non ultimo le frustrazioni per le sue battaglie in Europa: salutate dalla stampa come imprese ma poi rivelatesi vittorie di Pirro. Tanto che qualche piddino filomontiano ora sbuffa: «Così non va, il premier è troppo prono davanti alla Merkel».
Insomma, se potesse Monti si rifugerebbe volentieri a Bruxelles, dove si sente a suo agio come a casa propria. Ma dovrà restare a Roma almeno fino a primavera del 2013.

A blindarlo, anche Alfano: «Abbiamo sempre ribadito che non poniamo termini alla scadenza di questa legislatura - dice il segretario degli azzurri -. Serve però una legge elettorale in cui il cittadino possa scegliere direttamente». E chissà se il Prof ha così voglia di essere scelto.

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