E se "Bella ciao" fosse maschilista?

Per Bella ciao non vale il discorso dell'inclusività oppure l'inclusività sarà sempre e solo un discorso a senso unico?

E se "Bella ciao" fosse maschilista?
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Quello dell'inclusività è un tema enorme, che dovrebbe idealmente spingerci al miglioramento e non alla deriva tossica nella quale da tempo sguazziamo, e che è la stessa che ha toccato apici assoluti di insensatezza: uno su tutti, l'aver rimproverato l'Accademia della Crusca dopo che si era espressa negativamente, e con tutte le ragioni del caso, circa l'utilizzo del segno schwa e degli asterischi al posto dei marcatori di femminile e maschile nella grammatica italiana. Presa di posizione forte, cui hanno fatto seguito infinite altre diatribe, inclusa quella innescata giorni

fa dalla cantante Francamente, diventata virale per aver definito l'Inno di Mameli non inclusivo e perciò poco rispettoso di quanti si riconoscono nella sigla LGBTQ+.

Ecco quindi che quel celebre esordio, quel «Fratelli d'Italia» pensato e scritto a metà del XIX secolo, diventa ora d'intralcio, ora è elemento di ostacolo, venendo decontestualizzato nel modo meno consapevole possibile e gettato in pasto alla mistificazione. Così però non si fa affatto un buon servizio alla storia, e specie alla storia identitaria del nostro Paese: fatto che in questa tornata pare abbiano compreso in molti, dato il sollevamento trasversale venutosi a creare dopo l'intervento di Francamente.

Nei numerosi commenti di critica che le sono arrivati, uno mi ha particolarmente colpito, un paio di righe che facevano giustamente riferimento a «Bella ciao»: in questo caso allora dovrebbero essere gli uomini a risentirsi, perché nel titolo è valorizzato il femminile anziché il maschile? Per Bella ciao

non vale il discorso dell'inclusività oppure l'inclusività sarà sempre e solo un discorso a senso unico? Torneremo un giorno a trattare la lingua cioè la prima casa di un essere umano col rispetto e la sacralità che merita?

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