
Se il corpo delle donne è uno spazio, il nudo di quello stesso corpo è uno spazio ancora più specifico, per l’esattezza un campo di battaglia, su cui da un decennio almeno si è tornati ambiguamente a combattere. E con non poca codardia, visto che di mezzo non ci sono grossi ideali, bensì la malsana idea che più pezzi di pelle sono visibili e più potrò essere certificata come donna libera, più mi mostro e più mi autodetermino, più sottraggo cittadinanza ai miei vestiti e più potrò dirmi felice e indipendente. L’apice di un ragionamento tanto disgraziato pensavamo di averlo raggiunto qualche mese fa, sul red carpet dei Grammy, con una soddisfatta Bianca Censori che gettava a terra la pelliccia e mostrava a chiunque il proprio fisico denudato, al quale aderiva soltanto un velo trasparente, sistemato lì solo col compito di non coprire niente.
Stessa storia, stessa dinamica anche se in salsa più intellettualoide o pseudotale, si è ripetuta poche ore fa, durante la cerimonia degli Oscar, che ha visto sfilare sulle passerelle anche l’attrice Julia Fox alias la Venere di Botticelli: un corpo nudo, anche in questo caso, protetto da un tessuto più sottile del cellophane, uno strato di nylon sotto al quale erano state sistemate strategicamente delle extension, alcune in corrispondenza del seno, altre dei genitali, in modo da riproporre almeno in parte il famoso dipinto rinascimentale.
Eccoci dunque, dopo quasi seicento anni dalla realizzazione di quel capolavoro, davanti all’ennesima icona postmoderna che difende il femminile mercificandolo, che assicura che la nudità è una forma di empowerment, che spaccia la sconfitta per conquista.
Non molti anni fa, ricordo di aver visto un documentario prezioso, che mi ha to particolarmente e mi ha fatto interrogare con grande lucidità e apprensione. S’intitolava Il corpo delle donne e lo firmava, tra gli altri, Lorella Zanardo, attivista che con straordinaria perizia ha ricostruito la storia dell’immagine del corpo femminile nella televisione italiana, più precisamente definendone gli stereotipi e effettuando un’attenta disamina della sua sovraesposizione e degradazione: un discorso che dovrebbe certo essere ripreso oggi, idealmente aggiungendo alla tv il perturbante apparato social, che vale quanto mille sistemi televisivi, e considerando anche la pretesa di una parte del femminismo contemporaneo, che promuove e foraggia la nudità femminile. La femmina nuda dunque come nuova, elettrizzante, meravigliosa proposta di emancipazione, come specchio di una non meglio imprecisata autonomia, come sinonimo se non addirittura sintomo di liberazione.
Con questo non difendo la censura, è chiaro, anzi ritengo che ogni donna abbia il diritto di indossare i jeans allo stesso modo della minigonna, la donna può scoprire le braccia tanto quanto l’ombelico, non è questo il punto, a mio avviso incontestabile, ma che diventa ahimè spinoso quando l’atto del denudarsi è ipocritamente presentato come avanguardia di riscatto, quando viene spacciato come soluzione e invece è il problema.
Per altro, là dove l’esposizione del corpo femminile equivale a vera, consapevole, rischiosissima volontà di protesta, come sta accadendo da qualche tempo in Iran, con giovani donne e addirittura adolescenti che rischiano tutto, arrivando perfino a perdere la vita proprio per la scelta di scoprirsi, anche solo per scostare di qualche centimetro il velo dal capo, in quella circostanza il femminismo non fa troppo rumore. Quel nudo, quel corpo non è poi così importante: non è una Venere da celebrare, non è un esempio da proporre agli Oscar.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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