La finta mobilitazione dei politici sparita tra veti e ricatti

La volontà bipartisan di eliminare la galera per i reati d'opinione è durata poche ore Pd e Idv che parlavano di «legge fascista da abolire» colpevoli dello stop in commissione

Roma - Il caso Sallusti riuscì a creare una di quelle rarissime alchimie che ogni tanto rendono il mondo della politica un mondo umano: l'accordo di tutti. Era meno di un mese fa, il 26 settembre. Il direttore del Giornale Alessandro Sallusti viene condannato per diffamazione a quattordici mesi di carcere dalla Corte di Cassazione. Centrodestra e centrosinistra, i sindacati, la Federazione nazionale della stampa, i direttori dei giornali: tutti sono unanimi nella critica a una sentenza definita «abnorme», «fascista». Ma il prodigio dura un giorno. Nelle settimane impallidisce e poi scompare sotto il macigno dell'indifferenza, dei ricatti, dei vecchi e logori binari di parte.
Al Senato sono stati ieri il Partito democratico, l'Italia dei valori, i Radicali e l'Api a chiedere che a legiferare sia l'Aula, lasciando alla commissione Giustizia solo il ruolo referente. Tradotto: tempi allungati, non sufficienti a evitare per Sallusti la custodia cautelare. Eppure proprio il Senato era stata la sede dove il Pd si era più sbilanciato. Tra chi si era pronunciato indignandosi, proprio Vincenzo Vita, uno dei sei senatori che ieri ha chiesto la delega all'assemblea. Con il portavoce di «Articolo 21» Giuseppe Giulietti, Vita il 26 settembre dichiarava: «Non basta manifestare indignazione, ma serve un provvedimento d'urgenza per l'istituzione di un giurì per la lealtà dell'informazione e per l'abrogazione immediata del reato di omesso controllo». Ed ecco cosa diceva il vicepresidente di Palazzo Madama, Vannino Chiti il 2 ottobre: «Gasparri e io abbiamo avanzato una proposta, l'importante è che il Parlamento operi rapidamente». La capogruppo, Anna Finocchiaro: «Mi sembra che ci troviamo di fronte, oggi, a una sentenza che prevede un provvedimento fuori misura». Mentre in Futuro e Libertà l'ex direttrice del Secolo, Flavia Perina, sottolineava: «Non condividiamo le opinioni di Sallusti, ma la condanna è una ferita per la democrazia».
Antonio Di Pietro il 27 settembre chiedeva che la modifica alle pene previste per il reato di diffamazione fosse messa in atto «in poche ore»: «Abbiamo presentato una proposta di legge per rimettere le cose a posto e ora ci aspettiamo che venga calendarizzata prestissimo. Il carcere per i reati d'opinione è un residuo dell'era fascista». E per Massimo Donadi, il capogruppo Idv a Montecitorio, «un Paese dove si rischia di finire in carcere per opinioni e idee è un Paese dove la libertà è a rischio». Donadi ieri non era presente alla riunione dei capigruppo alla Camera. Al suo posto Antonio Borghese. Per il Pdl non c'era Fabrizio Cicchitto, che il 27 settembre parlava di «sentenza liberticida». Sostituito da Simone Baldelli. Nessuno dei presenti alla «capigruppo» ha chiesto di assegnare alla commissione il compito di varare la legge, circostanza che avrebbe accelerato l'iter almeno a Montecitorio. Eppure il giorno della condanna persino la sinistra fuori dal Parlamento chiedeva soluzioni. Il presidente dei Verdi, Angelo Bonelli: «Sallusti ha la mia piena solidarietà: il carcere per i giornalisti non è tollerabile». E i giornalisti lo ripetevano indignati.

Ferruccio De Bortoli: «È uno dei punti più bassi della nostra civiltà giuridica». Franco Siddi, segretario della Fnsi: «È una sentenza sconvolgente, ci sentiamo tutti Sallusti». Ezio Mauro, Repubblica: «È una decisione che deve suscitare scandalo». Tutti d'accordo. Poi il silenzio.

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