Grilli come Tremonti È il «signor no» dei Prof

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Cambiano i tempi, cambiano i governi, cambiano gli uomini. Ma i ruoli, certi ruoli, restano sempre gli stessi. Ad esempio, quello del «signor no». In tutti i governi c'è un ministro che, di fronte alle brillantissime e sempre costosissime idee dei colleghi, alza il dito e dice: perfetto, ma dove troviamo i soldi?
Oggi il «signor no» si chiama Vittorio Grilli, ieri si chiamava Giulio Tremonti. Fra i due c'è evidente continuità, e non solo perché Grilli era direttore generale del Tesoro quando Tremonti guidava il dicastero. Si tratta di due persone capaci (...)

(...) di dire «no» a chiunque. Tremonti lo disse a Silvio Berlusconi, che sollecitava la riduzione delle tasse. Grilli, nel Consiglio dei ministri-fiume di venerdì, l'ha detto a Corrado Passera e a Elsa Fornero: niente risorse per la sterilizzazione dell'Iva sulle grandi opere infrastrutturali; niente risorse per ridurre il cuneo fiscale dei giovani lavoratori. La priorità, al momento, è una sola: evitare l'aumento dell'Iva a metà del 2013 senza compromettere la riduzione del deficit pubblico.
Se Tremonti, in qualche caso, rispondeva per le rime alle richieste di soldi da parte dei colleghi, Grilli è più diplomatico e felpato. Ma la sostanza non cambia. Nella riunione di venerdì, il ministro dell'Economia ha dato il via libera allo slittamento degli obblighi fiscali nelle zone dell'Emilia colpite dal terremoto, ma solo sino alla fine di novembre per tenersi un altro mese di proroga come cartuccia di riserva. Per il resto, cortesemente ha detto «no». In particolare ha respinto con perdite l'uscita agostana del ministro del Lavoro, che aveva lanciato al meeting Cl di Rimini la popolarissima proposta di ridurre il peso fiscale che grava sulle buste paga dei giovani. «Possiamo pensare a una decontribuzione per quelle imprese disposte a valorizzare il capitale umano. Per queste si potrebbe ridurre il cuneo fiscale. È solo un'idea ma sulla quale si può lavorare», aveva detto Fornero. E giù applausi. Nessun plauso è arrivato però a Palazzo Chigi, anzi freddezza totale. Si è incaricato lo stesso premier Monti di ammonire i ministri: «Basta annunci. Niente uscite improvvisate, atteniamoci al programma».
Grilli ha spiegato i perché delle sue resistenze. Ci sono i motivi di sempre, la riduzione obbligata del deficit e i messaggi di rigore da inviare ai mercati sempre fibrillanti, l'economia internazionale che peggiora. Ma non è soltanto questo: l'autunno è denso di incognite domestiche. Basti pensare al caso dell'Ilva di Taranto: se la produzione nella più grande acciaieria d'Europa dovesse fermarsi, ci sarebbero 11.500 dipendenti da mandare in cassa integrazione; la crisi colpirebbe l'indotto e metterebbe in ginocchio l'intera città di Taranto. Non solo. In questi giorni sono in cassa integrazione migliaia di dipendenti della Fiat, e non si esclude che il ristagno delle vendite di automobili possa spingere l'azienda a ricorrere ancora agli ammortizzatori sociali. Ci sono casi di dimensioni minori, ma non meno preoccupanti: ad esempio quello del vettore siciliano Windjet. Secondo calcoli sindacali, i lavoratori in cassa sono complessivamente circa mezzo milione, e per molti di loro non ci sarà il rientro in azienda. E ancora: le famiglie avranno le risorse per pagare la seconda (o la seconda e terza, a seconda del sistema scelto) rata dell'Imu? E se lo faranno con la tredicesima, che cosa sarà dei consumi natalizi? Ecco perché le sortite estive, come ad esempio la riduzione dell'Irpef promessa alla vigilia di Ferragosto da Repubblica, poi smentita il 16 da Monti in persona, fanno gravi danni. Alimentano speranze che vengono regolarmente deluse.

E costringono Grilli a frenare le esuberanze. «La crescita economica non si fa per decreto», disse Giulio Tremonti ai tanti che chiedevano soldi in Consiglio dei ministri. Grilli, a quanto sembra, comincia a pensarla allo stesso modo.

Gian Battista Bozzo

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