Guerra in casa Mennea: "Quel testamento è falso"

I fratelli impugnano le ultime volontà del campione, che ha lasciato tutto alla moglie. Chiedono il sequestro preventivo del patrimonio. La sorella Angela si dissocia

Guerra in casa Mennea: "Quel testamento è falso"

Il suo sprint lo ha catapultato nella leggenda, il suo volto illuminato con il dito al cielo ha fatto la storia dell'atletica e ha alimentato il sogno di riscatto dell'intero Sud Italia. Perché lui, Pietro Mennea da Barletta, era in effetti «la freccia del Sud», una vita di corsa verso l'Olimpo dei più grandi di sempre superando una difficoltà dopo l'altra fino a raggiungere i più alti traguardi. Non solo nello sport. La morte del campione per un male incurabile il 21 marzo scorso in una clinica romana ha commosso il mondo. Ma adesso, a distanza di pochi mesi, il testamento del velocista barlettano potrebbe essere destinato ad approdare in un'aula di giustizia.

Tre fratelli - Vincenzo, Giuseppe e Luigi - hanno infatti presentato un ricorso al tribunale di Roma perché ritengono che data e firma del documento olografo depositato nello studio di un notaio di Roma non siano autentiche. Sulla vicenda c'è il massimo riserbo, l'unica cosa certa è che l'atto è stato effettivamente presentato pochi giorni fa dall'avvocato Tiziana Dell'Anna di Bari. «È un'istanza finalizzata al sequestro giudiziario del patrimonio conosciuto», precisa il legale. Che aggiunge: «Nel testamento viene lasciato tutto alla moglie, non sono contemplati i fratelli nonostante in questo caso abbiano diritto a un terzo, inoltre abbiamo depositato una perizia di parte da cui il testamento, firmato nove giorni prima del decesso, risulta apocrifo». Insomma, l'iter giudiziario è stato effettivamente avviato. «Adesso - spiega uno dei fratelli, Vincenzo Mennea - non ci resta che attendere le decisioni del tribunale. Lo ripeto, intendiamo semplicemente conoscere la verità e se abbiamo deciso di agire in questo modo è esclusivamente per un discorso affettivo: vogliamo che finalmente venga riaffermato che Pietro Mennea aveva dei fratelli, tutto il resto non ci interessa; proprio per sgombrare il campo dai dubbi - aggiunge il fratello - abbiamo fornito degli atti ufficiali utili per l'esame comparativo».

All'azione giudiziaria non si è associata la sorella, Angela. Il campione barlettano si è spento per una grave malattia: aveva 61 anni. Un campione straordinario, tanto esplosivo in pista nei momenti decisivi quanto schivo e distante da atteggiamenti lontani dal senso più nobile dello sport di cui interpretava i valori più grandi. Un appassionato della vita, Pietro Mennea, che per 17 anni è stato il custode dello storico record nei 200 metri alle Universiadi del 1979 di Città del Messico, quando inchiodò le lancette del cronometro a 19 secondi e 72 centesimi. Poi l'oro alle Olimpiadi di Mosca nel 1980 e gli altri innumerevoli titoli. Ma anche quattro lauree (in Scienze politiche, Giurisprudenza, Scienze dell'educazione motoria e Lettere), venti libri, la carriera da avvocato e commercialista nello studio avviato con la moglie, Manuela Olivieri; e poi la politica, l'impegno a Bruxelles come eurodeputato dal 1999 al 2004, e l'incarico come dirigente nella Salernitana calcio. Non si è mai fermato, Pietro Mennea.

«Ogni giorno bisogna reinventarsi, avere progetti e ambizioni, non si può vivere di ricordi», diceva. «Adesso vado più veloce», ripeteva scherzando sull'addio alla vita di atleta, lui che da ragazzo rincorreva le Porsche e le Ferrari dei ragazzi più ricchi lungo le strade pugliesi e le faceva sembrare piccole piccole.

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