Una guerra finanziaria non si vince col rigore ma con la solidarietà

L’atteggiamento egoistico tenuto dalla Germania sta facendo solo danni: di recessione si può morire

Una guerra finanziaria non si vince col rigore ma con la solidarietà

L’automobile europea è in panne. Alla guida, le istituzioni eu­ropee sembrano non capire cosa stia succedendo, il motore (tede­sco) sembra girare (pro domo sua) ma la macchina non riparte. Fuori imperversa una tempesta, la strada verso un riparo sicuro è ancora lunga e all’orizzonte non si intravvedono schiarite. Cosa sta succedendo?

In questa metafora l’automobi­le rappresenta l’intero sistema economico europeo. Quello che abbiamo finora imparato dalle analisi condotte sulla crisi è che l’origine di tutti i problemi non può essere ottusamente ricondot­ta al­le criticità di singoli fattori nazionali, ma va cercata in cause si­stemiche che necessariamente in­teressano l’intera comunità. Ora, è forse giunto il momento di fermarsi e rivedere profondamente l’approccio utilizzato per rispon­dere alla crisi.

Di solo rigore e austerità si muo­re. Anche il premio Nobel Paul Krugman, dalle pagine del New York Time s, paragona la politica di austerity - tanto cara alla Me­rkel - a un rito voodoo: entrambi ignorano allo stesso modo la real­tà. Krugman continua affermando che «l’austerità in un’econo­mia­fortemente depressa è contro­producente, allo stesso modo co­me indietreggiare nell’austerità dovrebbe incoraggiare, non pre­occupare, gli investitori obbliga­zionari». L’amara verità, così come con­fermato dagli ultimi dati macro­economici presentati dal gover­no nel Def, è che stiamo precipi­tando in una spirale recessiva sen­za fine che sta strangolando il no­stro Paese. Sono di pochi giorni fa le durissime parole del presiden­te­della Corte dei Conti che ha lan­ciato l’allarme di un «corto circui­to rigore/crescita» basato sul­l’esponenziale aumento della pressione fiscale finalizzato esclu­sivamente al riassesto dei conti pubblici. Anche Bankitalia ha rile­vato che gli sforzi imposti ai citta­dini devono essere compensati da una riduzione delle aliquote di prelievo sul lavoro e sull’attività di impresa a favore della competi­tività economica. Si tratta di un atteggiamento oramai insostenibi­le che rischia di minare la sosteni­bili­tà sociale di tutte quelle impre­scindibili riforme strutturali di cui l’Italia necessita.

Quel che è certo è che l’atteggia­mento imposto dalle istituzioni europee si è manifestamente e in­comp­rensibilmente rilevato auto­lesionista. Ma c’è una spiegazio­ne. Dietro le inspiegabili decisio­ni (economiche) europee si cela l’esclusivo ed egoistico interesse dell’unica nazione che da questa crisi sembra trarne beneficio. Una prova? La Germania ha mo­dellato sulle proprie esigenze il fi­scal compact , il nuovo patto di bi­l­ancio europeo che prevede esclu­sivamente sangue, sudore e lacri­me per tutti, o meglio, per tutti gli altri. Tra le altre, in particolare, il fiscal compact prevede una misu­ra che fa riferimento al valore del­le quote di mercato relative alle esportazioni degli Stati membri. La soglia massima individuata per evitare i meccanismi automa­tici di correzione e redistribuzio­ne è il 6%, guarda caso la Germa­nia registra una quota pari al 5,9%. Quando si dice la fortuna, in questo modo la Germania può in­crementare ulteriormente le sue esportazioni beneficiando di un euro di fatto sottovalutato. Non vi basta? Provate a guardare l’anda­mento dei titoli di stato tedeschi. Negli ultimi mesi sono diventati i beneficiari ultimi dei sacrifici di tutti noi. Più certo di un teorema matematico, al progressivo calo di rendimento dei teutonici bund (e quindi aumento del relativo prezzo) è corrisposto un progres­sivo aumento del rendimento dei titoli degli altri paesi europei (con conseguente diminuzione dei prezzi). Ne è derivato (inaspettata­mente?) un forte aumento della domanda di titoli decennali tede­schi, considerati oramai bene rifu­gio dagli investitori esteri, a disca­p­ito degli altri titoli europei depri­mendo, in definitiva, l’appetibili­tà complessiva dei titoli del debito sovrano dell’area euro nei con­fronti dei titoli del resto del mon­do (che non capisce cosa sta suc­cedendo in Europa).

Ma l’attenzione va rivolta an­ch­e all’atteggiamento complessi­vo della governance europea. Per­sa e in balia degli eventi, è stata spesso succube vittima delle deci­sioni del più forte, si è lasciata tra­scinare lungo un sentiero di scelte miopi perdendo, anche questa volta, la possibilità di assurgere a vero soggetto politico. Sono tre i pilastri su cui concretamente è possibile edificare un nuovo per­corso di crescita, i primi due di ca­­rattere europeo e l’ultimo stretta­mente italiano. Primo, un nuovo mandato per la Bce. L’adozione di una pseudo politica monetaria espansiva da parte della Bce attraverso le opera­zioni­di prestito agevolato al siste­ma bancario ( il famigerato quanti­tative easing in salsa europea) si è rivelata del tutto inefficace. È giun­to il momento non solo di ricali­brare gli strumenti d’azione della banca centrale ma forse anche di ripensare dalle fondamenta gli stessi obiettivi programmatici del­­l’istituto di Francoforte, attribuen­dogli il ruolo di «prestatore di ulti­ma istanza » e, soprattutto, dotan­dolo degli stessi poteri delle altre banche centrali.

Secondo, rigore in cambio di crescita. L’Italia e gli altri Stati europei non devono supinamente ratificare il fiscal compact senza la contemporanea adozione di una politica di investimenti sostenuta dall’emissione di eurobond e projectbond garantiti dalla Bce. Tale emissione dovrà essere fatta a tassi di rendimento simili non al rendimento degli attuali Bund ma al loro rendimento di qualche tempo fa, prima della tempesta (3-4%, tasso medio negli ultimi 5 anni). Questo permetterebbe di fi­nan­ziare la ripresa europea ma so­prattutto agirebbe da meccani­smo capace di frenare l’ampliarsi del gap di competitività tra paesi europei che è oggi effetto e non più causa delle difficoltà europee e dei rischi di dissolvimento del­l’unione monetaria.

Terzo, «operazione contropie­de» sul debito italiano. Nell’attua­le situazione macroeconomica del nostro Paese, nella quale il pa­reggi­o strutturale è l’obiettivo im­prescindibile da perseguire nel breve periodo, è necessario un du­plice intervento straordinario di aggressione al debito. Da un lato, un piano di dismissioni diretto ad alimentare un «fondo per la ridu­zione del debito ». Il valore di mer­cato stimato delle unità immobi­liari censite si attesta tra i 239 e i 319 miliardi di euro. Dall’altro la­to, la costituzione di un «fondo per la garanzia e il riscatto del debi­to pubblico», diretto all’acquisto di titoli di debito nel mercato se­condario e alla collateralizzare dei titoli di nuova emissione, po­trebbe contribuire ulteriormente ad abbattere il debito per circa 25-35 punti percentuali.

Il problema non è, quindi, dei singoli stati, non è dei singoli debi­ti, ma è europeo. Le regole e gli strumenti normativi adatti già ci sono, il Trattato di Lisbona preve­de una clausola di solidarietà, che impegna l’Unione e gli Stati mem­bri ad agire congiuntamente per prevenire e reprimere attacchi ter­roristici e calamità naturali, non­ché a prestarsi mutua assistenza, e una clausola di mutua difesa, che prevede l’intervento militare in difesa di uno Stato membro che subisca un’aggressione armata nel proprio territorio.

È giunto for­se il m­omento di equiparare gli at­tacchi di tipo finanziario (specula­tivo) a quelli di natura terroristica, militare o ambientale. La solida­rietà come presupposto dell’esi­stenza di tutti. Bella agenda per il Consiglio europeo di giugno.

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica