La scoperta dell'esecutivo: il vincolo del 3% è la tagliola di Bruxelles

Renzi vuole ignorare il tetto del rapporto deficit-Pil e abbattere il debito. All'Ue offre riforme in cambio di più tempo per rientrare nei parametri

Roma - Dimenticare il 3% di deficit. È questa l'operazione che Matteo Renzi ha in mente quando dice che i «conti in ordine sono un obbligo verso i nostri figli», e non verso «i burocrati europei». L'Italia ha inserito nella Costituzione l'impegno di azzerare il deficit strutturale. Non di rispettare il tetto del 3%. E per raggiungere l'obbiettivo costituzionale è necessario che il denominatore (del rapporto debito/Pil e deficit/Pil) torni ad aumentare. Quindi, il ministero dell'Economia e Palazzo Chigi sono impegnati in una delicata azione diplomatica per convincere la Commissione Ue a concedere margini d'azione sul deficit, in cambio delle riforme. In altre parole, il governo sembra aver imboccato la strada già presa da Francia e Spagna: riforme in cambio di tempi più lunghi per azzerare il disavanzo strutturale; anziché lottare, introducendo misure fiscali, per abbattere «di uno zero virgola» il deficit. Renzi ha già indicato le riforme che intende avviare in tempi rapidi. Non ha indicato gli strumenti per raggiungerle; soprattutto, non ha fornito certezze sulle coperture finanziarie. Due conti. Nel 2014 l'Italia ha detto che registrerà un deficit pari al 2,6% del Pil; ma con una crescita dell'1,1%. La Ue, però, dice che quest'anno il Pil salirà dello 0,6% e non dell'1,1%. Questa crescita rallentata si trascina - pressoché automaticamente - un peggioramento del deficit, che salirà al 2,8%. Cioè, sarà «solo» dello 0,2% inferiore del livello raggiunto nel 2013, mentre i Trattati ci obbligano a farlo scendere annualmente dello 0,5%.
Da un punto di vista tecnico, quindi, l'Italia già rientrerebbe nella fattispecie di una procedura d'infrazione «addolcita» per deficit eccessivo; per non parlare del debito, aumentato oltre gli impegni assunti con Bruxelles. È per questa impossibilità tecnica a rispettare i numeri del disavanzo che hanno convinto Renzi a far dimenticare il totem del «3%», ed a concentrarsi su un rinvio del pareggio di bilancio. In questo cambio di rotta, però, non tutta l'amministrazione dello Stato sembra intenzionato a seguire il presidente del Consiglio. Se da una parte il ministro Padoan sta cercando di convincere Carlo Cottarelli a recuperare un miliardo in più, rispetto ai 3 previsti dalla spending review (così da recuperare più risorse da dedicare alla riduzione del cuneo fiscale ed al finanziamento dei nuovi ammortizzatori sociali), dall'altra la Ragioneria generale dello Stato ed alcuni tecnici del ministero stanno interpretando alla lettera i Trattati Ue e non stanno agevolando la politica del premier.

Entro maggio, Renzi deve rendere disponibile almeno un punto di Pil sottoforma di minori tasse e maggiori garanzie per chi non ha lavoro, così da affrontare al suo Pd le elezioni europee con l'obbiettivo minimo del 26%. Al momento, per centrare l'obiettivo mancano coperture per oltre la metà. Per questo è imperativo «dimenticare il 3%». E la crisi in Crimea lo sta aiutando.

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