Idv, un partito a rischio estinzione?

Viaggio nell'Idv, partito a rischio estinzione: dagli scandali sui fondi all'erosione del bacino elettorale. I sondaggi: Di Pietro al 4%

Idv, un partito a rischio estinzione?

"Vogliamo essere un partito di governo". Antonio Di Pietro lo ripete costantemente, con ostentazione e convinzione. Ma, allo stato attuale, l'Italia dei Valori rischia di non entrare nemmeno in Parlamento. Gli ultimi sondaggi Swg certificano un crollo dell'Idv (che ha perso, in solo due settimane, il 2% dei consensi) direttamente proporzionale all'ascesa del MoVimento 5 Stelle. Grillo e Di Pietro, due leader, due amici che sono diventati inevitabilmente concorrenti. Ma la ventata di antipolitica, gli scandali e le diaspore interne hanno favorito il primo e inabissato il secondo. Attualmente, il partito dell'ex pm si attesta al 4,3% e rischierebbe di rimanere alla porta del Transatlantico (sempre che non cambi la legge elettorale).

Cosa ha pagato Di Pietro? Gli scandali all'interno del suo partito, i balletti relativi alle primarie e alle alleanze nel centrosinistra, i dissidi con la corrente più moderata. E altro ancora. L'indagine nei confronti del capogruppo dell'Idv alla Regione Lazio, Salvatore Maruccio (indagato per peculato e accusato di aver prelevato a suo favore fondi dai conti del gruppo) ha inciso e non poco. E ha eroso parte della credibilità di Di Pietro nella battaglia per la trasparenza e per la legalità.

Ma il caso di Maruccio è solo la punta dell'iceberg. Perché l'Idv non si può certo definire un partito "immacolato" e avulso da ogni sospetto. Anzi. Tralasciando la questione dei transfughi e dei cambi di casacca - ché su questo Di Pietro pare abbia avuto la calamita - la lotta contro gli inquisiti non arriva da un pulpito casto. Di recente, Marylin Fusco, vicepresidente della Regione Liguria, è stata indagata dalla procura di Sanremo per abuso d’ufficio e violazione delle norme in materia di tutela ambientale. Lo scorso giugno, il consigliere regionale della Campania, Dario Barbirotti è stato indagato per una presunta truffa nella gestione dei rifiuti (all'epoca dei fatti contestati era presidente del Consorzio Bacino Salerno 2).

Il consigliere provinciale di Bologna, Paolo Nanni, è stato indagato a febbraio scorso per non aver restituito il pass invalidi della suocera, deceduta da due anni. Nell'ottobre 2011, a Bari, l'assessore al Contenzioso, contratti e appalti, Emanuele Pasculli, è stato indagato (in merito a presunte irregolarità di un appalto da 5 milioni di euro) e si è visto revocare l'incarico dal sindaco Emiliano.

Come ha ricordato Filippo Facci su Libero, nel 2004, alle comunali di Foggia, Di Pietro ha appoggiato Riccardo Leone (Sdi) "che vantava condanne definitive per ricettazione, rapina continuata, resistenza a pubblico ufficiale, violenza privata, furto continuato e furto in concorso, evasione, danneggiamento continuato e violenza privata continuata, oltre ad aver passato due anni in un manicomio giudiziario". E Domenico Padalino, altro candidato appoggiato (a sua insaputa) da Di Pietro, "vantava due condanne definitive per furto, oltraggio a pubblico ufficiale, inosservanza dei provvedimenti dell'autorità e resistenza a pubblico ufficiale, oltre a essere indagato per porto abusivo d'armi".

Paride Martella, ex presidente della Provincia di Latina, è stato arrestato nell’ambito dell’inchiesta su appalti truccati. Gustavo Garifo, capogruppo provinciale dell’Idv di Genova, è finito in manette a ottobre per aver lucrato sugli incassi delle multe. Andrea Proto, consigliere comunale, reo confesso, ha incassato una condanna a un anno e nove mesi per aver raccolto la firma di un morto. Solo per citare alcuni casi che poco collimano con la vigorosa battaglia contro i condannati in Parlamento, ché la lista potrebbe continuare.

Senza considerare poi il figlio di Di Pietro, Cristiano, consigliere regionale a Campobasso, indagato per corruzione, turbativa d’asta e abuso d’ufficio. Anche lo stesso Antonio Di Pietro è stato indagato in passato (la sua posizione è stata poi archiviata) per truffa in merito ai rimborsi elettorali all'Idv e per offesa al capo dello Stato.

Ma l'ex magistrato, si sa, è politico animato di grande passione e spesso scivola nelle esagerazioni e nell'irruenza verbale. Basti ricordare i vari paragoni ed epiteti che utilizzò nei confronti di Berlusconi premier: da Hitler a Mussolini, passando per Gheddafi, Videla e Saddam Hussein. Un linguaggio offensivo che ha trovato validi emuli nel suo stesso partito, ché chi va con lo zoppo impara a zoppicare. Come quel Francesco Barbato che, pochi giorni fa alla Camera, auspicò il ritorno in campo di Formigoni e Scopelliti. Solo che il campo concepito dall'esponente dipietrista era quello di concentramento.

E poi c'è la questione più politica e che ha visto mandare letteralmente in bambola il leader Idv. Che critica Bersani e poi lo corteggia. Che dice che non vuol rompere con lui ma allo stesso tempo attacca feralmente Monti. Che afferma di candidarsi a premier ma anche di partecipare alle primarie di coalizione. Che accusa Grillo di riproporre le sue idee salvo poi adularlo e avvertirlo che "se stai da solo questi ti fregano", dove per "questi" Di Pietro intende i partiti diversi dal suo. L'ex pm è riuscito pure a complicarsi la vita e a "creare" una corrente interna al suo partito. Una corrente moderata, che si oppone al machismo e all'ostruzionismo di Di Pietro e che vede in Massimo Donadi, capogruppo Idv alla Camera, uno dei principali capofila. Pochi mesi fa, Donadi ha accusato il suo leader di "scondinzolare dietro Grillo", di "mandare tutto al macero" e "di tradire la storia del partito".

E oggi, la frattura non si è sanata, dal momento che al Fattoquotidiano Donadi ha dichiarato che "alle primarie andrà a votare per Bersani". Per risalire la china, a Di Pietro non resta che percorrere la strada da lui annunciata: togliere il suo nome dal simbolo del partito. Non si sa mai che così facendo qualcuno torni a votare Idv...

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