Pasticcio Tares, emergenza rifiuti in agguato

La falsa partenza della nuova eco-imposta che ci costerà il 29% in più. Imprese per la raccolta in crisi per il rinvio dei pagamenti: "Così sarà la rovina"

Pasticcio Tares, emergenza rifiuti in agguato

La Tares, nuova tassa sui rifiuti, non sarà solo una mazzata per le famiglie, che dovranno sborsare in media il 29 per cento in più rispetto alla vecchia Tarsu (secondo la Cgia di Mestre). Alzerà anche il livello dell'acqua già alla gola delle aziende che si occupano della raccolta e dello smaltimento dei rifiuti. L'ultimo «regalo» del governo Monti, il rinvio a luglio della prima rata dell'imposta in vigore dall'1 gennaio, getta nel panico gli operatori del settore. Uno dei principali in Italia, il gruppo Biancamano, lancia un grido d'allarme: «Così si ammazza l'impresa. Il rischio? Per noi - spiega Pier Paolo Pizzimbone, vicepresidente della società quotata in Borsa - la rovina finanziaria. Per i nostri dipendenti, circa 4mila, che non arrivino gli stipendi. Per i cittadini, che la raccolta cessi e i cumuli di rifiuti restino per strada».

Lo spostamento a luglio del pagamento della Tares infatti fa svanire la speranza delle aziende di ritrovarsi in cassa un po' di liquidi. La delusione degli imprenditori per l'esecutivo tecnico non è una novità. Ma l'affaire Tares aggrava una situazione già drammatica. «Inoltre il rinvio della rata non risolve certo i problemi economici delle famiglie, li differisce solamente: non proprio una mossa da buoni tecnici...», attacca Pizzimbone. Senza contare che, anche se in campagna elettorale non è troppo strategico mettere (ancora) le mani nelle tasche dei cittadini, nei mesi estivi la tassa sui rifiuti si aggiungerà all'Imu.

Per il futuro di molti operatori rischia di essere il colpo di grazia. «Il nostro problema non sono i numeri, gli affari vanno bene - continua il manager della holding - quello che rischia di distruggerci è la mancanza di liquidità. Siamo drammaticamente esposti finanziariamente e non certo per mala gestione. Su un fatturato annuo di 370 milioni di euro ne abbiamo 105 di crediti scaduti con la pubblica amministrazione. Abbiamo dovuto aprire una trattativa con le banche per chiedere aiuto». Per chi lavora con i Comuni, come le aziende che si occupano della raccolta dei rifiuti, l'ossigeno sta finendo. Gli enti infatti pagano in media con un ritardo di 200 giorni, un periodo che in caso di lavori su larga scala - Biancamano è attivo in 15 regioni italiane- si traduce in cifre (mancanti) importanti. «Lo Stato pretende dalle aziende pagamenti puntuali - spiega ancora Pizzimbone, ma quando si tratta di saldare i suoi debiti con noi, l'attesa diventa lunga». E spesso, per un'impresa, anche letale: nel 2012 hanno chiuso in 365mila, mille al giorno.

Succede che per mancanza di liquidi un imprenditore si trovi costretto a chiudere un cantiere o a lasciare a metà l'opera che stava realizzando per un ente pubblico, cercando così di non esporsi ulteriormente. Ma c'è di peggio. Se l'azienda in questione fornisce un servizio essenziale e di pubblica utilità, è costretta a continuare e non ha leve per «incentivare» i creditori a pagare il dovuto. I Comuni o gli Ato (Ambiti territoriali ottimali) inoltre spesso non fanno nuovi bandi di gara e gli operatori sono incatenati, a colpi di proroghe, a situazioni capestro.

«Fino - conclude il dirigente di Biancamano - al crac definitivo». Che per le nostre città può significare una reazione a catena fatta di lavoratori non pagati e quindi giustamente in sciopero, servizi interrotti e cumuli di spazzatura per le strade.

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