Gli iniettano latte in vena Neonato muore in ospedale

Gli iniettano latte in vena Neonato muore in ospedale

È un filo sottile, eppure pesante come un cavo d'acciaio, quello che si può spezzare se a sbagliare è un medico. Ed è quello che spesso separa la vita dalla morte. Un errore «capitale».
Così può accadere l'incredibile, una gioia trasformata in dolore, una routine trasformata in un dramma. Una vita in un lutto.
Come spiegare la morte di un bebè perché qualcuno ha sbagliato a mettergli una flebo? Adesso all'ospedale romano San Giovanni ci sono almeno sei tra camici bianchi e infermieri indagati.
Era un giorno di festa nella Capitale, era il ponte del 29 giugno, San Pietro e Paolo. Marcus De Vega, figlio di una filippina, era nato prematuro al Grassi di Ostia, per questo lo avevano trasferito nel centro più attrezzato a Roma. Messo in un'incubatrice - una macchina che ora Ignazio Marino, presidente della Commissione d'inchiesta sul Servizio Sanitario nazionale definisce «vecchia e poco sicura» - il piccino doveva essere nutrito artificialmente. Un'operazione enterale, cioè attraverso un sondino collegato allo stomaco. Nulla di particolarmente impegnativo, operazione da infermieri, normalmente. Solo che qualcuno, per ora il «solito ignoto», il 27 giugno ha sbagliato: al posto della soluzione fisiologica, al bebè ha dato del latte e perdipiù iniettandoglielo in vena.
Non è chiaro cosa sia accaduto dopo, cosa si sia tentato, fatto sta che 2 giorni dopo il bebè smise di vivere. La magistratura ha aperto un'inchiesta, ma ancora una volta assistiamo a una stucchevole sceneggiata all'italiana. In cui le responsabilità sfumano, le omissioni si confondono nella burocrazia, la verità sfugge impalpabile. Come se non la si cercasse.
Tutto strano in questa storia. A cominciare dai ritardi nella denuncia. Gian Luigi Bracciale, direttore generale dell'ospedale, ha riferito di aver saputo del presunto scambio di flaconi soltanto il 2 luglio scorso. Cioè tre giorni dopo il decesso del piccino. «Ho parlato con il primario di Neonatologia, con il direttore sanitario. C'era stata una constatazione di fatti che sarebbero accaduti che non mi hanno convinto, e che mi hanno indotto a fare denuncia. Poi sarà il magistrato a decidere cosa fare, se archiviare sentiti i periti, o procedere». «Tutto è partito da una segnalazione del direttore sanitario - ha aggiunto - e insieme alla segnalazione alla magistratura ho avviato un'indagine interna».
Qualcos'altro però non quadra. I funerali del bebè si svolsero all'interno dell'ospedale il 3 luglio e subito la salma di Marcus venne «spedita» al cimitero di Prima Porta per essere cremata. Quanta sollecitudine di fronte a una fine che ancora doveva essere chiarita. Nei giorni successivi, secondo quanto si apprende, la salma venne però riportata all'ospedale San Giovanni su richiesta della direzione sanitaria. Mentre il 10 luglio il corpo del neonato fu trasferito al Policlinico di Tor Vergata per l'autopsia, stavolta, su disposizione del sostituto procuratore Michele Nardi. Insomma, un iter decisamente anomalo.
Così come le due verità che si contrappongono ora che lo scandalo è scoppiato. Gerardo Corea, direttore sanitario del San Giovanni giura che la madre del neonato «ci ha ringraziati per come è stata trattata».


Ma versione opposta giunge da alcune persone in quei giorni vicine alla donna, che si chiama Jacqueline e fa la colf nello studio di un avvocato al Parioli. «Dopo aver saputo della morte del figlio ha detto che era pronta per una battaglia legale e che voleva vedere chiaro fino in fondo su quanto è successo, voleva la verità».

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