L’atto d’accusa a Lombardo: "Patto coi boss mafiosi"

I carabinieri: il governatore siciliano e il fratello hanno chiesto e ottenuto voti dai mafiosi per quasi dieci anni

L’atto d’accusa a Lombardo:  "Patto coi boss mafiosi"

Peggio, molto peggio delle accuse a Cuffaro. È sconvolgente lo scenario che sta alla base dell’imputazione coatta, per concorso esterno in associazione mafiosa, a carico del governatore siciliano Raffaele Lombardo e di suo fratello Angelo. Un patto politico-mafioso, rimarca il gip, che i Lombardo «hanno direttamente o indirettamente sollecitato – e ottenuto – dalla “famiglia” catanese di Cosa nostra» nell’arco di 10 anni, fino alle elezioni nazionali, comunali e regionali del 2008.

Ha raccontato il pentito Maurizio Di Gati: «Dopo il 2001, l’ordine era quello di votare per l’Mpa» perché «se ne avevamo bisogno ci potevamo rivolgere a quel partito per quanto riguarda sia gli appalti sia altre cose». Proprio i lavori pubblici sarebbero la bussola per orientarsi nel sistema di potere politico-mafioso. A elencarli è un altro pentito, Gaetano D’Aquino: «autorizzazioni per i posti di vendita alla fiera di Catania», «concessioni di autorizzazioni» per ristoranti nel porto e nel Bingo, «concessioni edilizie», «interventi sul piano regolatore» e «posti di lavoro nelle cooperative».
E che non ci siano prove che i Lombardo abbiano mantenuto effettivamente la parola per il gip è poco importante, visto che «un connubio di simile estensione nel tempo, reiteratosi, dopo il primo appoggio nel 1999, in ben altre quattro occasioni, non è logicamente pensabile che abbia registrato sistematicamente il tradimento dei Lombardo degli impegni assunti con gli esponenti di Cosa nostra di volta in volta incontrati». E così, anche quando Raffaele Lombardo non risulta più avvicinabile dai boss, sono gli stessi uomini d’onore a fornire l’involontaria dimostrazione di averlo appoggiato.

«Quello che ho fatto io quando lui è salito per la prima volta lì, neanche se viene il padreterno troverà più queste persone e siccome io ho rischiato la vita e la galera per lui (…) da me all’una e mezza di notte è venuto, ed è stato due ore e mezza, qui da me, dall’una e mezza alle quattro di mattina, si è mangiato sette sigarette», si sfoga – intercettato – il boss Rosario Di Dio.
In realtà, leggendo gli atti e le informative del Ros, ai Lombardo non sarebbero andate solo preferenze elettorali, ma anche soldi. Soldi sporchi, circa 700mila euro raccolti con le estorsioni. Un «ingente investimento economico», lo definisce il gip. «Non vi scuddati, ci resi i soddi nostri del Pigno, ci resi a iddu ppa campagna elettorale...», tuona il padrino Vincenzo Aiello in un’intercettazione.

Il fratello di Lombardo diventa deputato al Parlamento nell’aprile del 2008. E, per festeggiare, il 4 maggio partecipa a un party ad alto tasso mafioso nella villa di Barbagallo, filmato dai carabinieri. Il 26 maggio – e fino al 28 dello stesso mese – il fratello del presidente viene ricoverato in «terapia intensiva respiratoria». Che cosa è successo lo racconta il gip sulla base delle dichiarazioni del pentito Eugenio Sturiale: «Angelo Lombardo aveva subito una bastonatura perché non aveva tenuto fede all’impegno assunto» con la famiglia Santapaola».

Agli atti anche i presunti contatti tra Raffaele Lombardo e il boss di Enna Raffaele Bevilacqua: 10 telefonate intercettate e alcuni appunti del capomafia che annotava, con soddisfazione, nell’agendina: «Ore 8,30 da Raf... a chi fare domanda per aeroporto?» Un capitolo a parte, invece, il gip lo riserva al rapporto tra l’azienda Safab e i referenti di Cosa nostra catanese, Barbagallo e Aiello, che utilizzano, secondo il gip, «il canale privilegiato instaurato con il presidente Raffaele Lombardo e con l’onorevole Angelo Lombardo per affinare l’imposizione della “messa a posto” per i lavori del canale di gronda di Lentini» del valore di 13 milioni di euro e per poter gestire, direttamente, la ricca cascata di subappalti da affidare a imprese «amiche».

Dalle carte dell’inchiesta Iblis emerge infine il nome dell’ex senatore e assessore regionale Nino Strano (quello che, per festeggiare la caduta di Prodi, mangiò una fetta di mortadella in Parlamento) autore di una visita in carcere al boss Francesco Marsiglione al quale, secondo il contenuto di alcune intercettazioni, il politico avrebbe offerto aiuto per tutte le esigenze della famiglia: dalla ricerca di posti di lavoro ai figli alla proposta di candidarlo in un consiglio di quartiere. A quest’ultima richiesta, però, pure il boss avrebbe detto no: sarebbe stato troppo.
(ha collaborato Simone Di Meo)

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