L’ultima sconfitta del comunista che amava Silvio

Da giovane s’iscrisse al Pci e se n’è vergognato. Poi ha creato la Lega Nord. E dopo aver strapazzato pure Berlusconi ne è diventato l’alleato più fedele

L’ultima sconfitta  del comunista  che amava Silvio

Roma - Dimissioni irrevocabili. Che, avrà pensato qualcuno dei militanti che ieri erano in via Bellerio con le bandiere della Lega listate a lutto a rendere l’onore delle armi al Capo, arrivano guarda un po’ di Giovedì santo. Ad ognuno, insomma, il suo Giuda e il suo Giardino del Getsemani. Con la differenza che a tradire il Senatùr non è stato un solo discepolo ma quel «cerchio magico» fatto di familiari e famigli che ormai da qualche tempo lo tiene «sotto tutela». Cure e premure ovviamente disinteressate. Ma che ci consegnano quell’uscita di scena che nessuno avrebbe mai potuto immaginare.

Un Bossi che è la parodia del Bossi che fu, l’antitesi perfetta dell’Umberto che, per quanto gradasso nei modi e colorito nel linguaggio, sapeva convogliare la sua energia magari scomposta e arrivare al punto. Sempre o quasi. Che fosse il seggio al Senato nel lontano 1987, oppure l’aggregazione di tutte le diverse Leghe sparse per la cosiddetta Padania, sotto le insegne dell’Alberto da Giussano, nel 1989 fino allo sbarco a Palazzo Chigi nel 1994. L’Umberto ce l’ha sempre fatta a resistere e ricominciare, perfino dopo l’ictus del 2004 e le lunghe settimane passate in coma farmacologico. E ci è riuscito, per dirla alla romana, seguendo il principio del «chi mena per primo mena due volte».
La miglior difesa, per il Senatùr, è sempre stato l’attacco. In qualunque situazione. Quando mise insieme tutti i diversi rivoli autonomisti sparsi per il Nord, facendo fuori uno dopo l’altro chi solo sperava di ritagliarsi un ruolo nella nascitura Lega Nord. Roberto Gremmo, Franco Castellazzi, Franco Rocchetta, Marilena Marin, Luigi Negri e tanti altri: tutti giù come birilli prima che potessero accorgersi di cosa stava succedendo e spesso con accuse francamente incredibili. Di Gremmo, per dire, raccontò che l’avevano fotografato i Servizi mentre si stava facendo fare «un lavoretto» da un marocchino in un cinema di Torino.

Ed epocale fu la rottura con Gianfranco Miglio, quando i due si mandarono a quel paese in uno scambio d’insulti pirotecnico. «È un minchione arteriosclerotico, una scoreggia nello spazio», sentenziò il Senatùr.
Sempre all’attacco, dunque. E senza girarci troppo intorno. È il 1996 quando a Porta a Porta Ciriaco De Mita disserta sulle riforme istituzionali e si becca un sonoro «De Mita, taches al tram». Ma l’approccio è lo stesso anche nella strategia politica. C’è chi frena sul federalismo? E allora via con il Parlamento del Nord e con la secessione e - non dovesse bastare - allora si arrivano ad evocare le migliaia di baionette pronte a sparare nelle valli della Bergamasca.

È lo stile Braveheart che lo ha contraddistinto fino al 2004. Perché poi i militanti del Carroccio sapevano che in fondo i toni e le parole erano una cosa e la Lega un’altra. Tanto che, nonostante le sparate e l’indignazione di chi era sempre in prima fila a chiamare in causa buona educazione e xenofobia, non si ricorda un leghista che abbia partecipato ad una rissa che sia una. Anzi, gli unici pugni sono volati in via Bellerio il 18 settembre 1996 quando la Digos fece irruzione nella sede milanese del Carroccio e ne uscì fuori con una manciata di volantini e spillette e Roberto Maroni sdraiato a terra. Di baionette neanche l’ombra, tanto che pure uno che la Lega non l’ha mai amata, come Pier Ferdinando Casini, non esitò a dire che «si era fatto un grande favore a Bossi».
Erano i tempi del Senatùr geniale e genuino. Quello che i soldi li disprezzava tanto da buttarne una valanga per mettere su nel 1980 il semiclandestino giornaletto Nord Ovest e qualche anno dopo il foglio Lombardia Autonomista.

Era il Bossi che aveva fiutato il primo rivolo di antipolitica strisciante, l’insofferenza del Nord verso i Palazzo romani e che non a caso usava il linguaggio «del popolo» per tenersi ben distante dai gessati del Pentapartito. «Né di destra, né di sinistra», amava ripetere. Anche se l’Umberto nel 1975 si era presentato alla sezione del Pci di Verghera (in provincia di Varese) e aveva versato cinquemila lire per iscriversi. Una circostanza che Bossi negherà sempre, anche se a testimoniarla esiste ancora il registro dei tesserati (nella foto sotto). D’altra parte, erano gli anni in cui il futuro Senatùr manifestava a pugno chiuso contro Pinochet e per il «Cile libero» (sempre nella foto sotto).

E dal Pci, passando per la Lega, Bossi è arrivato fino a Berlusconi.
Ha giocato all’attacco fino al 2000, tanto da far saltare il governo a fine ’94 e poi sparare bordate per anni contro l’ex alleato definito nei modi più coloriti, da «povero pirla» a «mafioso di Arcore». Sono tornati insieme e nel 2001 di nuovo a Palazzo Chigi. E da allora il rapporto è rimasto saldo, anche dal punto di vista umano e personale. È il Senatùr, però, a non essere rimasto in sella dopo l’ictus del 2004. Perché invece di accontentarsi di aver vinto la battaglia contro una morte che tutti davano per scontata è voluto tornare in pista ed è iniziato ad essere quasi una caricatura di se stesso. Perché se perfino un one man show come il Cavaliere ha deciso ad un certo punto di fare un passo al lato e lasciare la segreteria del partito ad Angelino Alfano è stato un po’ folle ostinarsi a voler essere l’ultimo dei Mohicani nonostante gli anni e gli acciacchi sempre più vistosi.

Ed è questo, forse, il tradimento più grande di chi gli è stato vicino e avrebbe dovuto consigliargli di farsi da parte da vincente.

Non di dimettersi sull’onda di uno scandalo destinato ad investire la sua famiglia e parte dei vertici della Lega. Una nemesi al contrario. La resa silenziosa e un po’ schiva di chi ha sempre combattuto e giocato in attacco.

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Pubblica un commento
Non sono consentiti commenti che contengano termini violenti, discriminatori o che contravvengano alle elementari regole di netiquette. Qui le norme di comportamento per esteso.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica