Letta rincorre il Pdl: meno tasse per evitare la crisi sulla giustizia

Vertice con Alfano e i capigruppo sulla Stabilità. Legge elettorale, premier in pressing sui partiti

Letta rincorre il Pdl: meno tasse per evitare la crisi sulla giustizia

C'è una prima fase, quella della preoccupazione. Ed una seconda fase, quella della reazione. Enrico Letta spacchetta le emozioni dopo il voto della Giunta sulla decadenza di Berlusconi, che avverrà in modo palese e non segreto. Sulle prime, il presidente del Consiglio è preoccupato dalla reazione del Pdl. Ma anche dal clima innescato dal Pd. A Palazzo Chigi i musi sono lunghi. Il timore che il voto della Giunta possa far venire meno la maggioranza è il sentimento più gettonato nei corridoi.
Poi, il clima cambia di colpo. Il presidente del Consiglio ed il suo staff fingono di far finta di nulla. Cambiano vestito, sorriso, atteggiamento. E fanno partire vere e proprie consultazioni. Ufficialmente, l'argomento è la legge di Stabilità. In seconda battuta c'è il pressing sulla legge elettorale (ieri al Quirinale sono salite le delegazioni di Lega, Gal e Psi). «Condivido completamente l'appello del presidente Napolitano a far le riforme in sette giorni», aveva detto in mattinata il premier, precisando però che «sulla legge elettorale il Parlamento non vuole intrusioni».
In realtà, sembra un sondaggio in prima persona. Per prima arriva una delegazione di Scelta civica. Poi è il turno del Pdl. Fabrizio Saccomanni non c'è. Scelta civica si presenta con Alberto Bombassei, nel ruolo di presidente che era stato di Mario Monti, e con il capogruppo alla Camera, Lorenzo Dellai. Al termine, il partito dirama un comunicato in cui dà «piena fiducia» al premier. E ribadisce «la necessità di rafforzare l'azione dell'esecutivo attraverso riforme strutturali coraggiose». Enrico Letta si accontenta della «piena fiducia». Sa benissimo che nella legge di Stabilità non ci sono le riforme strutturali a cui fa riferimento Scelta civica. E promette la disponibilità ad incontrare i gruppi del partito fondato da Monti.
Poi, tocca alla delegazione del Pdl. A Palazzo Chigi si presentano Alfano, scortato dai capigruppo Brunetta e Schifani. Ad accoglierli c'è anche Luigi Casero, vice ministro (Pdl) dell'Economia. Per rendere più «caloroso» l'incontro con la delegazione del Pdl, senza dirlo, ammanta l'incontro come se fosse la «cabina di regia» sulla legge di Stabilità, più volte chiesto proprio da Brunetta. E spiega che la presenza di Casero è proprio in rappresentanza di Saccomanni: è Casero ad avere la delega del ministro sulla politica fiscale. In realtà, Saccomanni non si presenta sia per avere le mani libere (e rifiutare eventuali emendamenti che dovessero venire elaborati a Palazzo Chigi) e sia perché sta realmente delegando maggiormente i vice ministri, assegnando loro maggiore responsabilità ed oneri. Alla Giornata del Risparmio confida: «Ci vuole coraggio a fare il ministro».
Alla delegazione del Pdl, Letta non nasconde le difficoltà politiche conseguenti al voto della Giunta. In cambio offre la piena disponibilità ad accogliere le eventuali modifiche parlamentari alla legge di Stabilità. Sempre che il Pd le accetti. E Letta non nasconde le difficoltà che sta incontrando proprio «a casa sua».
L'incontro sembra surreale. «Kafkiano», commenta qualcuno. Fuori da Palazzo Chigi ci sono fuoco e fiamme del Pdl. Dentro Palazzo Chigi si parla - in modo acceso («anche franco e sincero») - di tasse sulla casa, di pressione fiscale, di crescita. Gira voce che il premier mostri un grafico dello spread, che dopo la scelta di votare la decadenza di Berlusconi in modo palese (e non segreto) è salito a 250 punti base: un peggioramento del 10% in un giorno; ed il differenziale dei tassi con quelli con i bund tedeschi è tornato più alto di quello spagnolo. Ma non è vero. Il premier offre quindi una specie di scambio: piena disponibilità a modificare la manovra, in cambio del sostegno del Pdl al governo.

Ed assicura che Saccomanni non ostacolerà l'operazione. Qualche preoccupazione in più potrebbe procurargliela il Pd. Almeno finché lui resterà a Palazzo Chigi. «È proprio questo è il punto», replicano gli interlocutori.

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