Macché tagli, il governo spende di più

Il ministero dell'Economia: "Fabbisogno cresciuto di 15 miliardi in un mese". Per i giornali stranieri il vero guaio è la crescita

Macché tagli, il governo spende di più

Roma - In dodici mesi il fabbisogno di cassa è peggiorato di 30 miliardi, pari a 2 punti di Pil. È passato, cioè, dai 45 miliardi del settembre 2012 ai 75 miliardi del settembre di quest'anno.
L'annuncio viene dal ministero dell'Economia che precisa che negli ultimi trenta giorni, il fabbisogno è aumentato di 15 miliardi: dai 60 miliardi di agosto ai 75 - appunto - fotografati ieri.
Le cause di questo aumento del fabbisogno di cassa, secondo il ministero dell'Economia, sono attribuibili ad una maggiore spesa determinata dall'impatto sui dati di cassa dei rimborsi della pubblica amministrazione (2,4 miliardi), ad un aumento dei rimborsi fiscali (3,5 miliardi rispetto al 2012), ad una maggiore spesa per interessi (1,5 miliardi) determinati da una diversa calendarizzazione delle emissioni di titoli pubblici.
Resta il fatto che l'evoluzione del fabbisogno (e la sua crescita repentina) mette a rischio anche il dato del deficit (calcolato non attraverso la cassa, bensì il sistema della competenza), che il governo considera al 3,1% del Pil.
Ed è proprio il denominatore del rapporto che preoccupa la stampa internazionale. Più delle elezioni. Nel complesso, emerge un pizzico di scetticismo sui bizantinismi italiani: elezioni o non elezioni, il problema è la crescita. La Borsa, invece, scommette, sul Letta-bis, e cresce del 3,11%. In realtà, l'unico modo per avviare le riforme necessarie in Italia sono nuove elezioni. Lo dice Bill Emmott.
Dalle colonne del Financial Times, l'ex direttore dell'Economist critica i difensori della stabilità a tutti costi. «Un governo paralizzato, anche se guidato da un uomo abile come Letta, è peggio di nessun governo», scrive Emmott. Ed aggiunge. Se le dimissioni dei ministri del Pdl hanno causato «incertezza», prima vi era «la certezza che il governo fosse paralizzato», nota Emmott.
Nella sua ricostruzione, rileva come la «completa paralisi» sia iniziata il primo agosto quando Berlusconi è stato condannato in via definitiva e ha scelto «di sfidare tutte le istituzioni politiche del Paese». Secondo Emmott, «un governo formato da nemici» non potrà far altro che realizzare «modeste riforme». Con il risultato che Letta cercherà ora di formare un nuovo governo, ma «l'unico modo in cui si può sperare d'introdurre un vero programma di riforme è attraverso nuove elezioni».
Carico di pessimismo, invece, il Wall Street Journal. Non si pone il problema «elezioni si», «elezioni no». Il vero problema che attanaglia l'Italia - scrive in un editoriale - è la crescita e le mancate riforme di giustizia e welfare. E per argomentare la posizione, ricorda che la velocità maggiore del Pil negli ultimi dieci anni è stato il dato del 2,2%, registrato nel 2006. E che nel 2014 il tasso di crescita previsto è un misero 0,7%.
La crisi politica potrebbe rallentare o rinviare - scrive ancora WSJ - eventuali interventi destinati a favorire la crescita. E questi interventi sono noti a tutti i governi che si sono alternati: riforma del mercato del lavoro per favorire l'occupazione giovanile, una maggiore efficacia del sistema giudiziario, minore burocrazia per le imprese.


Ed, amaramente, conclude: ora le forze politiche sono alle prese con le tensioni politiche, ma non si rendono conto che l'unica cosa che interessa agli investitori è la crescita. E su quest'argomento non si pronuncia nessun esponente politico. La Borsa, infine, scommette sul Letta-Bis.

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