In manette per mafia l'eroina antimafia che piaceva tanto al Pd

Crotone«Rappresentiamo la parte buona della Calabria. Chiediamo al Pd di scegliere da che parte stare».
Carolina Girasole parlava, Pier Luigi Bersani la ascoltava attento. Era il 12 aprile del 2012. Pochi giorni prima alla donna simbolo dell'antimafia in Calabria le cosche avevano lanciato, si legge nelle cronache del tempo, l'ennesima intimidazione: il sindaco di Isola Capo Rizzuto dava fastidio ai mammasantissima ed il Pd ne aveva fatto un'icona. «Sono venuto per non far passare l'idea che tutta la politica sia una cosa sporca e a dimostrare che l'Italia sta al fianco delle persone perbene», spiegava Bersani. Certezze da smacchiatore di giaguari: Carolina Girasole l'hanno arrestata ieri i finanzieri del Comando provinciale di Crotone, sulla base di un ordine di custodia cautelare emesso dal Gip di Catanzaro su richiesta della Procura antimafia. Voti in cambio di favori: lei è finita ai domiciliari insieme al marito Francesco Pugliese, altre 8 persone in carcere. Tra loro il vecchio boss di Isola, Nicola Arena, già detenuto, e i figli Massimo e Pasquale.
Al centro delle indagini, basate sui reati di corruzione elettorale, associazione mafiosa, usura e turbativa d'asta, i terreni degli Arena. Confiscati nel 2007, su quegli appezzamenti l'ex primo cittadino isolano aveva costruito la sua immagine di lady di ferro. «Non sarò soddisfatta fino a quando non li avrò consegnati a don Ciotti», andava ripetendo. Eppure, stando agli atti dell'inchiesta, proprio gli Arena, sollecitati da Pugliese, avevano favorito la sua elezione nel 2008, continuando poi a tenersi stretti i loro pezzi di terra. E quando il Comune pubblicò un bando per la raccolta e commercializzazione dei frutti maturati, a rispondere furono tre imprenditori. Manco a dirlo, vicini agli Arena.
Accuse da provare, ma che già mettono in imbarazzo il Pd, che del sindaco di Isola e delle sue colleghe di Monasterace e Rosarno, Maria Carmela Lanzetta ed Elisabetta Tripodi, aveva fatto le icone della lotta alle cosche. Per dire: nel febbraio del 2012 la Girasole riceve in municipio la deputata (oggi senatrice) Doris Lo Moro, magistrato prestato alla politica. «Non ho dubbi sulla correttezza e sulle qualità etiche e morali di chi rappresenta l'amministrazione», assicura l'esponente democratica ai microfoni delle tv locali. E visto che c'è, propone «l'istituzione di una commissione d'inchiesta sulle intimidazioni agli amministratori». Due mesi dopo, il sindaco superstar prende parte al «25 aprile della legalità» con il presidente dell'Anci, l'attuale ministro Graziano Delrio. Che cala l'asso: «Non sei sola, e noi non ci stiamo alle non regole della mafia». A settembre a Reggio Emilia s'apre la festa nazionale del Pd, Carolina Girasole è al fianco del vicepresidente della Commissione antimafia, il senatore (ovviamente democratico) Luigi De Sena, per raccontare la sua esperienza in una sala dal nome emblematico: «I cento passi».
Sempre in prima fila, perfetta e sopra le righe il giusto necessario, l'eroina calabrese pare pronta al grande salto: il Parlamento. Ma Rosy Bindi si mette di traverso: lo scranno calabrese, quello sicuro, lo vuole per sé. La Girasole si mette sotto l'ala di Monti. Numero due nella lista del Professore con investitura dell'allora ministro Andrea Riccardi: «Ci hanno detto che in Calabria non era possibile far politica senza i capi bastone. Carolina Girasole dimostra che è possibile il contrario». Ma nelle urne va male, ed in municipio il Pd rende pan per focaccia. S'apre la crisi. A maggio si torna al voto. La Girasole perde malamente. E quando un incendio doloso le manda in fumo la casa al mare, il commissario regionale dei democrat, il deputato Alfredo D'Attorre, torna ad abbracciarla: «Ti siamo vicini: l'impegno che hai assunto contro la criminalità organizzata non può essere cancellato».

E così tutti i parlamentari calabresi di Pd e Sel e, con loro, il viceministro agli interni, Filippo Bubbico. Che a nome del Governo le esprime «solidarietà per l'atto intimidatorio subìto».
Parole. Adesso portate via dal vento di un'inchiesta giudiziaria.

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