La mappa dei predicatori d'odio che tornano a far paura all'Italia

L'analisi dell'Antiterrorismo: moschee clandestine dove si fa proselitismo, strani flussi di denaro, imam itineranti. Così si prepara la jihad nel nostro Paese

La mappa dei predicatori d'odio che tornano a far paura all'Italia

Lo Stivale dei predicatori d’odio travestiti, di volta in volta, da imam, guide spirituali, shaid (i martiri), «re­sponsabili », tabligh itineranti, mujaheddin e «lone wolf» (i più pericolosi, i lupi solitari). Copre l’intera penisola la mappa aggior­nata dall’antiterrorismo (oltre 820 luoghi di culto, 184 moschee) sulle sponde «religiose», dirette o indirette, del terrore islamico in Italia dove risiederebbero alme­no tremila combattenti «in son­no » addestrati nei campi qaedisti in Afghanistan, Yemen e Paki­stan. Tre sono le città dove si è fat­ta più serrata la sorveglianza «di­screta » degli organismi investiga­tivi: Roma (con le moschee di via­le Marconi gestite da egiziani e al­tri centri di preghiera a sud della Capitale), Milano (quella nota di viale Jenner al centro di numero­se inchieste) e Napoli.

A preoccu­pa­re sono in special modo le strut­ture di culto «clandestine», non uf­ficiali, o quelle spacciate per asso­ciazioni para- culturali meta di nu­merosi cittadini arrivati in Italia coi barconi attraverso i confini meridionali: secondo gli ultimi ri­levamenti le stazioni «ombra» per il proselitismo sarebbero al­l’incirca duecento, disseminate dalla Val d’Aosta alla Sicilia. E in particolare 12 sono «monitorate» nel capoluogo campano. La «ba­se strategica» dell’apprendimen­to della cultura dell’odioresta co­munque il Nord con oltre 45 sog­getti e «ritrovi» sotto stretto con­trollo. In Lombardia, dove gli inve­stigatori riscontrano l’«agile for­marsi di mini- cellule», non neces­sariamente collegate a un’unica rete, i «religiosi» attenzionati sul­le orme degli ex imam di Gallara­te, Bergamo e Varese sono una de­cina, in parte già collegati al più fa­moso capo spirituale di viale Jen­ner, Abu Imad, condannato a tre anni e otto mesi (progettava atten­tati in Italia e in Europa) e al triste­mente noto Abu Omar della mo­schea di via Quaranta. A Brescia, dov’è attiva la cellula Adl Walò I­h­sane continuano le indagini dopo il ritrovamento di bloc notes indi­cato come «il decalogo della non integrazione», che si apriva con l’appello a punire il Papa per aver «battezzato Magdi Allam», il gior­nalista egiziano (preziosa firma di questo Giornale) convertitosi al cristianesimo.

Passati ai raggi x anche i documenti (tra cui il ma­nuale per la fabbricazione artigia­nale di una bomba e una mappa che sarebbe servita per un attenta­to alla Sinagoga di Milano) ritrova­ti in casa di un 20enne marocchi­no, esperto di informatica, finito in manette. Anche l’ex imam di Cremona, Mourad Trabelsi, è sta­to condannato con sentenza defi­nitiva. In Veneto, dove i predicato­ri sotto sorveglianza sono più di quindici, la tensione è salita nel giugno scorso con la chiusura del­la moschea di via Anelli, a Pado­va, dove lo scontro tra fedeli ma­rocchini ha portato alla destitu­zione dell’ex imam Abderrahim Malek. A Vicenza la Digos ha mo­nitorato ingenti somme di dena­ro inviate all’estero (l’ex imam di San Donà di Piave, Ahamad Chad­dad, è stato arrestato dalla Digos di Venezia nell’ambito di un’in­chiesta in cui compare anche l’ex imam di Como, allontanato dal­l’Italia con l’accusa di fiancheg­giamento terroristico) che potreb­bero essere state utilizzate per fi­nanziare campagne terroristiche in Medioriente. E, sempre nella stessa città, è stato indagato un predicatore perché collegato a un imam casertano risultato in con­tatto con soggetti vicini al terrori­smo della moschea veneziana di via dei Mille; e un altro è stato inda­gato perché aveva picchiato la mo­glie che voleva vestirsi all’occi­dentale. L’antiterrorismo ha sot­toposto a una attenta sorveglian­za il centro culturale islamico di Treviso. Particolarmente incan­descente, stando ai carabinieri, il Piemonte (23 centri monitorati) dove sono stati espulsi già tre imam;qui il pericolo viene dai pre­dicatori d’odio «itineranti». Aller­ta in Emilia (18 centri), specie a Bologna, l’ex direttore della mo­schea Ann-nur ha elogiato i kamikaze palestinesi e invita­to a colpire Israele.

Tra Toscana (19), Campania (26) e La­zio ( 33) si concentra, invece, la più alta concentrazione di sospetti tunisini, al­gerini e egiziani. A Napoli si è arrivati a indagare sui contatti tra casalesi e pakista­ni trafficanti di dro­ga sospettati di conti­guità con formazio­ni salafite del norda­frica. In Umbria (7 centri attenzionati) si temono emulazio­ni rispetto alla scuo­la di terrorismo della moschea perugina guidata dall’ex imam marocchino Mostapha El Korchi (condannato a sei anni in Cassa­zione ed espulso dall’Italia con due connazionali). In Calabria (21 centri)l’ex imam Mhamed Ga­rouan che predicava tra Catanza­ro e Crotone arrestato col figlio con l’accusa di aver propaganda­to via internet la Jihad «virtuale», è libero in quanto i pm hanno chie­sto l’archiviazione.

A Cagliari, la situazione, è invece diversa: sono stati sì scoperti due manuali «esplosivi» ma nelle mani della Digos ci sono anche i documenti di soggetti vicini ad Al Qaeda e al­cune notizie riservate relative ai gestori di un portale d’ispirazio­ne jihadista. Soggetti e obiettivi sensibili anche in Sicilia (oltre 20 siti controllati), nella Marche (13), in Toscana (a Firenze è stato indagato per evasione fiscale da 2 milioni un ex imam di Castelfio­rentino).

La Puglia, dopo la cac­cia ai segreti custoditi in sei pen drive sequestrate a un ex imam si­riano e a un informatico francese condannati a otto anni, preoccu­pa non poco gli addetti ai lavori. Perchè? La risposta è top secret, al momento.

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