Napolitano: "Spread assolutamente inspiegabile"

Dopo Bankitalia, anche il capo dello Stato si è (finalmente) convinto che lo spread non misura la credibilità del Paese. Adesso aspettiamo che lo capiscano pure Bersani & C.

Sta fisso lassù. Immobile. Oltre la quota psicologica del 400 punti base. Ogni tanto sfonda addirittura la soglia drammatica dei 500, altre invece si rinfresca sotto i 400 ma, da un po' di mesi a questa parte, non lo abbatti nemmeno con le cannonate. Le riforme, l'austherity, le liberalizzazioni gli scivolano addosso: lo spread tra i Btp decennali e i Bund tedeschi resta altissimo facendo, settimana dopo settimana, il gioco degli speculatori esteri. A lungo la stampa progressista, i poteri forti e la sinistra ci hanno voluto far credere che il differenziale sui titoli di Stato fosse il termometro per misurare la salute del sistema Italia. Adesso, invece, si sono svegliati e hanno capito che lo spread è una brutta bestia che poco o niente ha a che fare con l'economia reale, con il sistema produttivo, con il tessuto industriale.

Dal presidente del Consiglio Mario Monti agli analisti della Banca d'Italia, dai vertici dell'Unione europea al capo dello Stato Giorgio Napolitano si ingrossa sempre di più la fila di chi non crede più nell'onnipotenza dello spread. Tutto ribaltato, tutti rimangiato. È un giochino che abbiamo già fatto diverse volte. Quando Silvio Berlusconi era a Palazzo Chigi, in molti hanno usato lo spauracchio del differenziale da record per obbligare il Cavaliere a fare un passo indietro. Con l'arrivo di Monti alla presidenza del Consiglio gli stessi hanno sperato nel miracolo sperando che lo spread sui titoli di Stato si abbattesse a colpi di austherity e di nuove tasse. Così non è stato. E, dopo aver finto a lungo che quell'indice non esistesse più, adesso sono tutti pronti a giurare che quel "numerone" non ha niente a che vedere con la fine della crisi economica. Addirittura, Monti oggi ha assicurato: "La ripresa non si vede dai numeri, ma c'è". Come a dire: la matematica è un'opinione. D'altra parte è da un po' di tempo che il Prof va in giro ripetendo che certi spread sono "privi di riferimento rispetto all’andamento economico sottostante". Altro che coerenza. Eppure la schiera degli incoerenti è davvero lunga. A rompere il tabù è stata proprio Bankitalia. In un report pubblicato ieri, gli analisti di via Nazionale hanno, infatti, spiegato che "le dinamiche macroeconomiche e fiscali non giustificano il forte incremento dello spread registrato a partire dall’estate 2011 che, sulla base dei relativi dati, dovrebbe collocarsi a quota 200 punti". Le stesse identiche parole sono state replicate oggi dal presidente del Consiglio europeo Herman van Rompuy secondo il quale "gli elevati rendimenti sui titoli di Stato di alcuni paesi dell’area euro a volte non sono giustificati".

Il vero maestro delle pirotte, però, è Napolitano. Basta scorgere le dichiarazioni pronunciate l'anno scorso per capire che il capo dello Stato riponeva nello spread una venerazione spasmodica. Il 5 settembre dello scorso anno spiegava: "Nessuno può sottovalutare il segnale allarmante rappresentato dall'odierna impennata del differenziale tra le quotazioni dei titoli del debito pubblico italiano e quelli tedeschi". Allora Napolitano era fermamente (?) convinto che lo spread fosse un segnale di "persistente difficoltà a recuperare fiducia". A distanza di un anno la conversione. "Non è assolutamente spiegabile sulla base dei dati fondamentali dell’economia - ha detto oggi Napolitano - c’è un cospicuo sovrappiù che rappresenta un problema non solo per l’Italia ma per l’euro". E quindi? Finalmente il capo dello Stato e compagnia cantante si sono accorti che lo spread è un'arma nelle mani della speculazione? Che fine ha fatto il presidente dell'Udc Rocco Buttiglione che era convinto che Berlusconi valesse 300 punti di spread, "punti della mancanza di fiducia nella politica italiana"? E il finiano Carmelo Briguglio che parlava di "mancanza di credibilità del presidente del Consiglio"? E il segretario della Cgil Susanna Camusso che per attaccare il Cavaliere invitava a "guardare allo spread"? "È lì - diceva la sindacalista - che si misura la credibilità del Paese ed è lì che l'Italia rappresenta un caso". Ma dai! Purtroppo la lista è ancora lunga. Cos'ha da dire Stefano Fassino, il responsabile Economia e Lavoro del Pd che, fino a qualche mese fa, era certo che un altro governo avrebbe "portato l'Italia fuori dal tunnel"? E Massimo D'Alema che accusava Berlusconi di "pesare sui mercati"? Ha avuto risposta l'inquieto capogruppo Pd alla Camera Dario Franceschini nel domandarsi "quanto influisce la permanenza di Berlusconi" al governo? Chissà se tutti questi politici, al pari di Napolitano, si sono ravveduti. Chissà se tutti questi "fini" economisti hanno capito che lo spread altro non è che un triste teatrino nelle mani degli speculatori.

In attesa che arrivino altre conversioni, ci rimettiamo alle previsioni del leader del Pd Pier Luigi Bersani.

Il 18 settembre dell'anno scorso affermava: "Al 2013 non ci arriviamo...". E si chiedeva: "Cosa deve pensare il mondo? Arrivare con questo governo al 2013 sarebbe il disastro finale". Eh già...

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