Si racconta che qualche giorno fa, in uno dei suoi incontri con l'assistente sociale, Silvio Berlusconi abbia manifestato il suo desiderio di andare, se possibile, in vacanza per qualche settimana: e che si sia sentito rispondere senza tanti complimenti, «è proprio sicuro di averne bisogno?». Ma a chi lo ha incontrato nelle scorse ore, più che dalla prospettiva di una lunga estate tra la villa di Arcore e l'ospizio di Cesano Boscone, il Cavaliere è sembrato turbato dalle novità piovutegli addosso da Napoli, con l'iniziativa dei pm che potrebbe mettere bruscamente a repentaglio il suo affidamento ai servizi sociali: la trasmissione al tribunale di Sorveglianza di Milano delle trascrizioni dell'udienza di giovedì scorso, quando ha affermato che «la magistratura è incontrollata, incontrollabile e ha impunità piena». E per questo, secondo la Procura napoletana, si è reso colpevole di oltraggio a un organo dello Stato. Un'accusa che potrebbe portare i giudici milanesi a revocargli l'affidamento.
È una prospettiva che preoccupa Berlusconi. E, soprattutto, che lo fa arrabbiare profondamente. Perché, spiegava ieri nella pausa di una riunione, «io non ho fatto altro che fotografare la realtà della magistratura italiana esattamente com'è, e come i giudici vogliono a tutti i costi che continui a essere: l'unica magistratura occidentale sul cui operato non c'è un controllo delle istituzioni, ed è un privilegio che i giudici difendono con le unghie e con i denti nonostante le obiezioni dell'Unione europea». La riprova più lampante della «impunità piena» dei giudici italiani per Berlusconi è stata la sollevazione delle toghe contro il voto della Camera sulle sanzioni contro i giudici che sbagliano per dolo e per colpa grave. «Sono loro stessi a rivendicare il diritto all'impunità, ma se lo dico io cercano di arrestarmi», si è sfogato il Cavaliere. Che è convinto di non avere sgarrato dalle prescrizioni che gli ha impartito il tribunale di Sorveglianza: «Mi hanno detto che non posso polemizzare con questo o quel giudice, non che non posso dire quello che vedo». E anzi rivendica di avere saputo tenere a freno la lingua, durante l'udienza di Napoli, quando di fronte a una risposta un po' brusca del giudice stava per ribattere qualcosa come «non sapevo che aveste anche il diritto di trattare male i testimoni». «E invece mi sono zittito».
Ad allarmare l'ex presidente del Consiglio è anche la coincidenza dell'iniziativa dei giudici napoletani con l'avvio del processo d'appello per il caso Ruby. Nonostante i tempi rapidi imposti dalla Corte d'appello al calendario delle udienze, e la fissazione della data della sentenza per il 18 luglio («I miei difensori si aspettavano che si arrivasse almeno a settembre») Berlusconi continua a mostrarsi fiducioso in un esito diverso da quello del primo grado, «l'unica sentenza possibile è una totale assoluzione», avrebbe detto ieri ai suoi interlocutori, rimarcando come la sua presunta vittima, ovvero Ruby, gli abbia dato atto di averla rispettata più di qualunque altro uomo.
Ma da qui a dire che Berlusconi viva con serenità il processo di secondo grado ce ne corre: perché rimane convinto che i suoi guai giudiziari non siano figli del caso ma di un progetto nato a tavolino, benedetto dal Colle e attuato attraverso il braccio armato di una magistratura militante, che per chiudere il cerchio ha bisogno di una sua condanna definitiva per il caso Ruby. Sa anche che non tutto l'apparato giudiziario si è arruolato nella crociata contro di lui, e che gli spazi per una assoluzione («ricordiamoci - dice - il principio in dubio pro reo») ci sono. Ma l'umore resta nero.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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