Non dico si debbano tributare onori divini, l’apoteosi del diritto romano, a Berlusconi: sarebbe il primo a riderne. Oltretutto giusto ieri ha dato la sua interpretazione del ritiro: mi ritiro, cioè no. Grandioso e surreale. Ma comunque vadano le cose, la damnatio memoriae ,con abolizione del nome per generazioni e sfregio del silenzio coatto imposto anche solo al suo ricordo, questo è un po’ troppo per un leader democratico che ha trasformato un grande Paese in diciotto anni di vita pubblica sulla scena europea e mondiale. La grottesca condanna per i diritti televisivi subito seguita alla sobria e molto onorevole uscita di scena del Cav, figura che milioni di italiani sono pronti a rimpiangere, punta proprio a questo, fa da battistrada a questo progetto: è un atto simbolico, come tutti sanno, corredato di immediate motivazioni pronte all’uso, ma destinato alla cancellazione da parte della Corte costituzionale o alla prescrizione ultrasicura. Insomma è solo un modo della giustizia di rito ambrosiano di riconfermare che ci sono anche loro nel giorno fatale, e il loro contributo è di trasformare in un abominevole reo l’Arcinemico, il mitico frodatore fiscale che nella realtà paga più tasse di un Creso.
Berlusconi ha preso la guida dell’Italia tre volte grazie a libere elezioni, l’ha persa per due volte grazie a un ribaltone e a una manovra di palazzo aiutate e in certo senso anche obbligate dal circo mediatico- giudiziario, l’ultima delle quali lo ha avuto soggetto responsabile e consenziente un anno fa. (Le sue colpe politiche nel procurarsi la difficile congiuntura in cui è caduto non tolgono il fatto di principio: gli italiani lo hanno eletto e il mandato gli è stato sempre revocato dagli ottimati del partito senatorio e finanziario, non dagli elettori.) Portiamoci avanti con il lavoro, nel tentativo di impedire l’allestimento in corso dell’avvilente messinscena: la «caduta di un grande criminale». Questo copione plateale è presupposto triste e necessario dell’eliminazione censoria della vera storia del berlusconismo dai radar dell’intelligenza italiana; dovere politico e civile anticipare un lavoro che ha anche un valore decisivo per chi riuscirà, se ci riesce, a costruire qualcosa che rivesta un significato profondo al posto della leadership di Berlusconi, oggi nel ruolo di memoria e ispirazione ( spero e credo rivestiti con l’allegria non intrusiva già promessa).
La parte spiccatamente giudiziaria è chiara. Il processo Ruby naufraga nel grottesco dell’inquisizione talebana e guardona. Le risposte della signora Karima El Marough alla trasmissione di Michele Santoro fanno testo perché sono limpide e spontanee nel tratto. Berlusconi è persona corretta, ridanciana, amante del trastullo burlesco, ospitale, privata nel suo modo di divertirsi, ma corretta, niente di predatorio e di umiliante per le donne e per il loro retoricamente sbandierato «corpo», perfettamente e gioiosamente violabile se in regime di adulti consenzienti e invece inviolabile alle propalazioni bacchettone di una magistratura in fregola di politica & etica al servizio di oscuri pregiudizi, con qualche abbondante e indecente aiutino mediatico. La concussione fa ridere tutto il mondo del diritto, perfino i persecutori. Una condanna in simile processo sarebbe il timbro finale di una persecuzione che solo la cecità faziosa dell’inimicizia politica consente di non vedere e giudicare in tutto il suo orrore civile. Simbolo e gogna da aggiungere al simbolismo inutile, per suffragarlo e rafforzarlo, della sentenza del giudice D’Avossa. Insomma, giustizia sommaria.
Poi c’è la parte politica, civile. Berlusconi è stato potentissimo, ora merita la polvere. Buffonata. Tutti conoscono i limiti bestiali in cui opera un presidente del Consiglio italiano (basta guardare al trattamento elettoralistico che stanno facendo a Mario Monti, già mezzo paralizzato e sfregiato da campagne incivili, o alle cattive figure rimediate da Romano Prodi o da Massimo D’Alema). La forza elettorale è stata ben controbilanciata dalle fughe parlamentari ricorrenti e dal ribaltonismo, malattie senili delle Repubbliche malate. Berlusconi ha fallito, dicono. Ma che vuol dire? Ci ha dato un paesaggio di parole e cose di legno totalmente trasformato in emozioni e spontaneità vivente, ha incarnato il maggioritario, ha dato potere al popolo che sceglie chi governa, ha tenuto a freno per anni la rapacità dello Stato, non ha smantellato il welfare ma ha fatto le grandi riforme delle pensioni e del lavoro prima della Fornero, e insomma, se di fallimento dell’economia e della finanza vogliamo parlare, parliamone: ma vedrete che è pieno di cause, di fattori di spinta, di remore e pigrizie, e di imputati potenziali che vengono nella lista quasi tutti prima di Berlusconi. Poi dire che il suo progetto ha declinato, questo è vero e Berlusconi è il primo a saperlo.
Il tempo si prende cura di ridimensionare sogni e progetti, ma questo non autorizza i nani a decretare la damnatio memoriae , sotto la coltre censoria di un segmento di storia che si spera di consegnare prigioniero ai presunti vincitori, ovvero la cancellazione legale della robustezza e anche della grandezza di un’esperienza politica unica al mondo.
E ricordiamoci che abbiamo scelto Israele e gli Stati Uniti nel fuoco della battaglia, che Berlusconi è stato dalla parte giusta nei momenti cruciali delle grandi sfide occidentali, e che ancora oggi l’Italia non è una sentina della secolarizzazione giacobina, una ridicola Repubblica ideologicamente corretta, anche per merito suo. Chapeau e buon lavoro.
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