Alle anime belle va spiegato che il clima non riguarda il loro opulento benessere, ma la sopravvivenza di miliardi di persone.
Quando questa storia è cominciata, a metà ’800 con la Rivoluzione industriale, la Terra era abitata da circa 1,5 miliardi di persone, quasi tutte in estrema povertà. Significa che si sbattevano da mattina a sera e riuscivano a malapena a sopravvivere, ma non a moltiplicarsi. La natalità era alt, ma pure la mortalità infantile, a cui poi seguivano in età adulta carestie e guerre. Gli sforzi dell’umanità garantivano una stabilità demografica, ma non una crescita e per quasi tutti la vita era un’esperienza grama e c’era da gioire se non si moriva, da piccoli o da adulti. La Rivoluzione industriale ha messo fine a questo. Alimentando le fabbriche con l’energia del carbone, gli sforzi producevano un risultato enormemente superiore e con esso una ricchezza mai vista prima, che scese gradualmente dai vertici verso la base della società. La curva della popolazione cresceva e anche quella della povertà, ma molto meno. Intorno al 1970 la percentuale di poveri assoluti era scesa al 60%. Da quell’anno, mentre la popolazione in numeri assoluti aumentava, quella in povertà iniziò a diminuire. Questo grandissimo risultato, forse il più grande che l’umanità abbia mai prodotto - parliamo di sconfiggere la fame nel mondo -, è stato possibile grazie all’energia delle fonti fossili..
Negli anni ’70 la temperatura del pianeta era in calo e le copertine delle riviste dell’epoca evocavano il rischio di una mini-glaciazione, ma verso la fine del secolo ci fu un’inversione e la Terra iniziò a riscaldarsi, facendo evocare quegli scenari catastrofici molto in voga, tipo Manhattan sommersa dalle acque. Accostando la curva di lungo periodo della temperatura media e quella delle emissioni di gas serra, la famigerata CO2, si osserva un andamento parallelo che per tanti equivale a causa-effetto..
Invece, circa 1.500 scienziati di fama mondiale, tra cui alcuni premi Nobel come Carlo Rubbia, eccepiscono che non sia dimostrabile la causa umana nel cambiamento, ma questo passa per «negazionismo climatico», una delle peggiori etichette. Pertanto, diamo per buona la natura antropica del riscaldamento e concentriamoci sulle sue implicazioni socio-economiche..
Nel 1990 le emissioni di CO2 da attività umane erano pari a 23 miliardi di tonnellate (Gt) all’anno e la popolazione mondiale era di 5,3 miliardi, di cui un terzo in povertà estrema. Allora Usa, Giappone e Russia erano responsabili del 40% delle emissioni e l’Europa del 17%, avendo già iniziato a ridurre la sua dipendenza dal petrolio dopo i due shock degli anni ’70. Il resto del mondo emetteva poco più di un terzo della CO2 totale e la Cina non arrivava al 10%, avendo un reddito pro-capite molto basso e oltre un miliardo di abitanti in povertà. Molti Paesi volevano crescere economicamente, e ne avevano il diritto, per migliorare le condizioni di vita dei loro abitanti. L’organizzazione del commercio, il WTO, aiutò questo processo, che dopo l’ingresso della Cina nel 2000 subì un’accelerazione. Prima le tigri asiatiche, poi la Cina e più recentemente l’India sono diventate la fabbrica del Mondo, generando un reddito mai visto, che consentiva a miliardi di persone di mangiare e sopravvivere. Così gli abitanti della Terra sono arrivati a 8 miliardi, ma appena il 9% è ancora in estrema povertà, meno di 700 milioni. Il prezzo? Emissioni di CO2 schizzate del 65% fino ai 38 GT..
È di questo che gli ambientalisti si lamentano. Che abbiamo fatto andare le fabbriche e con esse le emissioni. È la Cina a produrre CO2, ma siamo noi i mandanti. Se non avessimo delocalizzato le produzioni, noi occidentali avremmo forse pagato di più le magliette e altri beni, ma la nostra vita non sarebbe stata peggiore. Per altri miliardi di bambini, donne e uomini non sarebbe andata altrettanto bene. Starebbero ancora a combattere per la sopravvivenza e contro la mortalità, come quelli che vediamo il TV quando ci chiedono l’8x1.000. Forse c’è chi avrebbe preferito così. Però potevano usare energia pulita, tipo le rinnovabili o il nucleare. In prospettiva certamente, ma all’inizio usi il carbone, che costa meno ed è più alla portata. Pure la ricchissima Germania, quando hanno fatto saltare i gasdotti con la Russia, ha riaperto le centrali a carbone, mica quelle nucleari..
Fin qui la storia, e non si può cambiare. Guardando avanti, dobbiamo sapere che noi europei non possiamo incidere in alcun modo sulla CO2, visto che ne produciamo il 7%, e in calo. Certo, nel secolo scorso siamo stati noi a emetterla, ma questa autocritica non ha alcun senso, perché non ce la possiamo riprendere. È invece la motivazione addotta dalle economie asiatiche, Cina in testa e India a seguire, quando affermano che la ridurranno, ma non subito, perché adesso è il loro turno: prima devono consolidare lo sviluppo e distribuire la ricchezza a chi ancora non ne ha visto una briciola. Cosa gli diciamo? Che non acquistiamo più da loro e si arrangi chi è ancora povero?.
Ma non finisce mica qui. C’è ancora un intero continente, l’Africa, che bussa per crescere e fare tre pasti al giorno..
In questo scenario, i furori europei di imporre a noi di essere iper-virtuosi e di selezionare le importazioni sulla base delle emissioni all’origine non hanno alcuna prospettiva, tranne quella di relegarci a un ruolo ancor più marginale mentre asceticamente indeboliamo la nostra economia. Possiamo pure felicemente decrescere, ma conta poco rispetto ai tanti che ancora devono e vogliono crescere. Noi siamo motivati dalla voglia di salvare la flora e la fauna dal riscaldamento e qualche città dall’acqua. Loro lottano per salvare se stessi.
Indovina chi vince? No, abituiamoci all’idea che le emissioni aumenteranno spinte da 700 milioni di persone che sopravvivono in estrema povertà e non è giusto, mentre altri miliardi mangiano benino e adesso, udite udite, pretendono di accendere la luce. Un film già visto: finisce col frigorifero, la lavatrice e magari un’automobile.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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