Il Pd sbatte la porta sulla riforma fiscale: lite con Saccomanni

Sfogo privato del vice ministro Fassina sul potere dell'ex sottosegretario Ceriani. Già pronta la lettera di dimissioni

Il Pd sbatte la porta sulla riforma fiscale: lite con Saccomanni

Zygmunt Bauman la potrebbe chiamare una «manovra liquida»: dove tutto si mescola, dove i tagli e maggiori entrate non vengono precisati; figlia della «politica liquida» data dalle larghe intese, con una maggioranza senza più confini.
Definizione decisamente migliore di quella che, sulla sua newsletter quotidiana, forgia Wolfang Munchau. Senza mezzi termini, il commentatore del Financial Times usa l'aggettivo «disonesta» per definire la manovra fatta dal ministro Saccomani. Disonesta perché, spiega, vengono contabilizzate a riduzione del deficit le vendite immobiliari.

Il decreto legge sulla manovrina stabilisce che l'Italia centrerà l'obbiettivo del 3% grazie all'acquisto da parte di Cassa depositi e prestiti di immobili pubblici per oltre 500 milioni. E nella legge di Stabilità viene delegato proprio alla vendita degli immobili dello Stato un gettito per 3,2 miliardi. Risorse che sono pari a un terzo della manovra attesa per il 2014. Con un particolare. Finora, le cessioni immobiliari non potevano essere contabilizzate a riduzione del deficit; ma del debito. Se il ministero dell'Economia lo ha fatto è senz'altro perché avrà ottenuto dalla Commissione europea un'interpretazione delle norme in tal senso. Resta il fatto che le risorse che può utilizzare la Cassa depositi vengono dalla raccolta postale. In altre parole, attraverso l'utilizzo del risparmio postale viene finanziata spesa corrente.

La soluzione che finora nessun governo aveva mai usato. Ma che se il ministero dell'Economia ha introdotto nella legge di Stabilità dev'essere stata - preventivamente e informalmente - autorizzata da Bruxelles.
Ma non è su questi temi che - nei giorni scorsi - avrebbero avuto una «diversità d'opinione» Saccomanni con il «suo» vice ministro Stefano Fassina. Alla base del confronto ci sarebbe la politica fiscale; benché questa non rientri fra le deleghe di Fassina all'Economia. Secondo il vice ministro, la politica fiscale seguita dal governo è gestita e condizionata da Vieri Ceriani; e lui non ha la possibilità di intervenire, pur essendo un esperto del settore.

Vieri Ceriani, anche lui di provenienza Bankitalia (come il ministro e il Ragioniere generale dello Stato), è stato sottosegretario all'Economia con Mario Monti, era consulente fiscale di Tremonti e Saccomanni lo ha confermato nell'incarico. Quindi è un «esterno» del ministero. E Fassina non condivide l'idea del ministro di delegare a un «esterno» la politica fiscale. Da qui, la voce delle dimissioni del vice ministro dall'incarico. Voce alimentata dagli sfoghi che lo stesso Fassina avrebbe fatto con più di un dirigente del ministero; ma anche con esponenti del suo partito. Il gossip riferisce che per la presentazione della lettera attenda il rientro di Enrico Letta da Washington. Chi lo conosce bene sa che è sufficientemente determinato, anche se consapevole che con le sue dimissioni aprirebbe una questione politica all'interno del ministero e del governo. E la crepa di allarga con l'intervento del segretario Pd Guglielmo Epifani: «Credo Fassina lamenti un difetto di collegialità. E credo abbia ragione». Poi l'affondo: «La finanziaria non dà l'attenzione necessaria a chi sta peggio». In più, la prossima primavera segnerà una stagione di nomine importanti nelle società controllate (direttamente o indirettamente) dall'Economia.

E la sua delega al ministero dell'Economia riguarda proprio le società controllate. Insomma, se si dimettesse realmente, non potrebbe influenzare, condizionare, orientare la stagione delle nomine di primavera. Quindi, è assai probabile che sarà lo stesso Pd a spingerlo per rivedere le sue scelte.

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