Il ponte sullo Stretto non è solo una «priorità per governo e Regioni», come ha detto Matteo Salvini dopo l'incontro con i governatori di Scilla e Cariddi, Roberto Occhiuto e Renato Schifani. Per la destra il ponte può diventare molto di più: un progetto identitario, che guarda alle future generazioni, che parte da lontano, ma che nessun governo di destra è ancora riuscito a realizzare. Ed è allo stesso tempo una grande riforma di stampo liberale, perché va nella direzione - progressista - della distruzione di un tessuto microeconomico e corporativo che da sempre si oppone al ponte per difendere piccole rendite di posizione.
Quando ci si trova di fronte a una questione come questa, diventata ideologica e stratificatasi nel tempo, è utile ragionare su amici e nemici. Chi è contro il ponte? Facile: tutti quelli che guadagnano dall'assenza del ponte. Un coacervo di piccoli interessi (commerciali, economici, politici, ambientali) legati essenzialmente allo status quo. In altri termini, una tipica situazione conservatrice che di fronte all'avanzata di qualunque forma di progresso ha tutto da perdere. Accade così tutte le volte che la modernità si impone su sistemi sociali ed economici superati dal tempo. Una grande opera come questa, scontato il costo della distruzione di un microcosmo locale, apre le porte allo sviluppo, la crescita, la concorrenza, l'aumento del benessere ad ampio raggio.
Ecco perché Salvini è stato svelto e furbo ad appropriarsi di un dossier che è stato sempre un cavallo di battaglia di Berlusconi e di Forza Italia. Cioè di quel movimento che tanto nel centrodestra di ieri, quanto in quello di oggi rappresenta la componente più progressista della coalizione. Al punto che il ponte, a ben guardare, è un'opera da associare a quel tema liberalizzazioni che - vedi tassisti o ambulanti, per citare solo due delle più note resistenze al cambiamento - non è esattamente amato dalla destra più conservatrice. Ma che può invece diventare, come il merito nella scuola - una nuova bandiera di una destra moderna e riformista.
Per quanto riguarda costi, numeri e opportunità, valgono mille considerazioni. Ma basta citare il Pnrr da una parte (non è previsto, ma è un moltiplicatore di sviluppo economico) e l'alta velocità ferroviaria dall'altra: un'opera lungo la cui dorsale il Pil galoppa. Nel decennio 2008-18, nelle Regioni più ricche il Pil delle città collegate alla Tav è cresciuto del 10% contro il 3% delle altre province; in quelle più povere dell'8% contro lo 0,4%.
Basta questo per immaginare che volano economico potrebbe essere il ponte (dove passeranno auto e treni) per la Sicilia. Una Regione che oggi vale circa il 5% del Pil nazionale. E che domani, una volta liberati dal loro «isolamento» i suoi 5 milioni di abitanti, avrebbe ben altre prospettive.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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