Quando le donne tolgono gli «scheletri» dai loro armadi

Insicurezza, insoddisfazione, ansia. La prossima volta che aprite il guardaroba, prendetevi uno Xanax. Sull'umore delle italiane, più della crisi che avanza e dello spread che si impenna, può il contenuto degli armadi. Secondo una ricerca commissionata da Procter & Gamble a Duepuntozerodoxa, il 43% delle donne, di fronte allo spettacolo del proprio guardaroba, è pervaso da sensazioni negative, un profondo horror vacui le assale e fa loro scuotere la testa mormorando: «Non ho niente da mettere». Anche se dentro non c'è più spazio nemmeno per uno spillo.
La verità non è che gli armadi delle italiane sono diventati improvvisamente vuoti a causa della crisi, ma che si sono riempiti di cose inutilizzabili: sempre secondo la stessa ricerca infatti, solo il 5% delle donne usa tutto ciò che c'è nel guardaroba, mentre la metà ne usa al massimo il 60%. Pare insomma che, nonostante l'invito a rassegnarsi a ossimori del tipo «sereno pauperismo» o «decrescita felice», le italiane accumulino abiti che non useranno mai, ma di cui non hanno la minima intenzione di sbarazzarsi.
In questa dinamica, la crisi gioca un ruolo importante, perchè le prospettive non rosee incentivano a conservare tutto ciò che già abbiamo. E a trattarlo con maggiore cura, anche se poi la maggior parte degli abiti rimane in un angolo recondito dell'armadio a farsi mangiare dalle tarme: l'87% delle italiane ha comunque dichiarato di avere cambiato i comportamenti di manutenzione dell'abbigliamento, il 36% sta più attenta a non rovinare i vestiti durante il lavaggio, il 25 usa prodotti che aiutano a conservare meglio gli abiti.
Ma gli armadi ai tempi della crisi non sono abitati solo da vecchi vestiti bensì anche da nuove mise prese in saldo o a offerta che non metteremmo per niente al mondo: si tratta di quel genere di abiti che, visti in negozio, sembrano una irrinunciabile occasione, e che provati di fronte allo specchio di casa, hanno il potere di farci dubitare della nostra salute mentale al momento dell'acquisto: «Ma l'ho comprato veramente io? Cosa mi ha detto il cervello?» ci sinterroga perplessi.
E allora ecco un altro motivo per sentirsi a disagio di fronte ai nostri armadi: non solo pensiamo di non avere niente da mettere, ma ci troviamo di fronte alla materiliazzazione dei nostri errori di valutazione, piccoli fallimenti inconsapevoli che hanno permesso a un paio di scarpe terrificanti di ingrossare la pila di roba che non metteremo mai.
La tendenza allo sgomento di fronte al guardaroba non è solo italiana: il Wall Street Journal ha dedicato attenzione al fenomeno, parlando di «armadi pieni di rimorsi», e descrivendo i closet americani come piccole fiere domestiche dell'orrido e dell'inutile, capaci di generare sgomento e contrizione al solo sguardo. I sensi di colpa più comuni, secondo la ricerca dei professori Seung Hwan Lee and June Cotte citati dal quotidiano americano, riguardano il dubbio che una scelta diversa sarebbe stata migliore, la sensazione di aver deciso troppo in fretta, il sospetto di aver speso tempo soldi e fatica per avere qualcosa che di certo non valeva tanto sforzo.
I mostri hanno davvero fatto la tana nell'armadio e se la crisi restringe i budget destinati allo shopping, non mette freno all'accumulo e ai sensi di colpa. Forse è per placare i rimorsi che, di questi tempi, va tanto di moda lo «swapping», lo scambio con amici, parenti o sconosciuti, attraverso la rete, di abiti mai messi.

Come funziona? Le donne che hanno accumulato nell'armadio capi orribili se ne privano per avere capi altrettanto orribili il cui destino è fare la stessa fine di ciò di cui si sono liberate: occupare spazio nell'armadio per non essere mai indossati.

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