Epazienza se tra un po’ lo stipendio di impiegato comunale non basterà nemmeno per pagare una settimana di affitto a Milano che, perfino in periferia, sta diventando una città che si potranno permettere solo nababbi e sceicchi. In compenso, quegli stessi impiegati comunali da adesso potranno decidere come chiamarsi e a quale sesso appartenere, neutro compreso. Con quale frequenza e per quante volte siano possibili le variazioni, sembra non sia specificato nella delibera approvata ieri dalla giunta sempre più di sinistra che di centro del sindaco Giuseppe Sala (nella foto) che accoglie così le dure critiche della marcia transgender che aveva assediato Palazzo Marino chiedendo significativi interventi per la comunità Lbgtq+. E così, ammainata definitivamente la bandiera rossa (che alla fine forse era meglio quella), sul pennone del Comune sventola l’arcobaleno che consentirà ai lavoratori di decidere nome e genere da stampare su badge, cartellino di riconoscimento, posta elettronica e nelle targhe sulla porta dell’ufficio. Senza che il Comune, specifica l’assessora (rigorosamente con la «a»), pretenda «certificati medici, né che l’identità sia validata da esterni: chiediamo solo una autodeterminazione».
Un «passo importante», assicurano. E certo non c’è ragione di dubitarne, perché tutto questo «consentirà di migliorare il benessere del personale dell’Ente, garantendo a chi non si riconosce nel genere dichiarato alla nascita, la possibilità di vivere in un ambiente sereno, improntato al rispetto della privacy e della dignità individuale, idoneo a favorire i rapporti interpersonali basati sul rispetto delle libertà».
C’è bisogno di commentare? Questa volta proprio no. Basti dire che a chiederlo sono in tre. Viene solo voglia di comunicare al Comune la difficoltà a riconoscersi nella Tari e di qui la decisione di non pagarla mai più.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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