di L etta ha messo al lavoro i suoi linguisti. La missione? Trovare un altro nome allo scudo fiscale che lo faccia sembrare diverso da uno scudo fiscale: questa volta deve sembrare pulito, tecnocratico, europeista e di sinistra. A giudicare dai tentativi che filtrano sui media preparatevi a qualcosa tipo: «Tagliate le tasse ai lavoratori grazie al recupero dei capitali illegalmente detenuti negli Stati canaglia extracomunitari». L'Istituto Luce arrossirebbe. Eppure, per quanto incredibile possa sembrare, sotto la solita rivoluzione semantica, Enrico Letta punta proprio allo scudo fiscale per trovare qualche soldo e placare l'insoddisfazione crescente tant'è vero che ha dichiarato che «a gennaio sarò in Svizzera per discutere del rientro dei capitali». Sarebbe sin troppo facile andarsi a rileggere gli insulti della sinistra quando Berlusconi varò nel 2008 lo scudo fiscale e le ironie del Pd nella scorsa campagna elettorale nei confronti di chi proponeva il concordato fiscale con la Svizzera, limitiamoci a studiare la questione in modo quanto più possibile oggettivo. Cominciamo con il dire che lo «scudo» del 2008 fu un grande successo: è anche grazie agli introiti di quell'operazione e al consistente rimpatrio di valuta che l'Italia assorbì meglio di quasi tutti gli altri Stati europei lo shock del fallimento Lehman e la prima parte della grande crisi. Mentre la maggior parte degli altri Paesi dovette fronteggiare enormi spese per dare liquidità alle banche (la «virtuosa» Germania dovette iniettare aiuti pubblici per oltre 300 miliardi nelle sue imprudenti banche) l'Italia riuscì a evitare esborsi significativi e l'afflusso dei capitali esteri certo fece comodo. Anche la struttura della sanatoria 2008 era formalmente corretta: un'aliquota sufficientemente bassa per essere attraente e fortissimo inasprimento delle sanzioni per chi fosse stato scoperto ancora irregolare dopo l'operazione. È comprensibile che chi è sempre stato «regolare» si indigni per qualsiasi sanatoria ma l'alternativa realistica sarebbe stata zero, e piuttosto dello zero far pagare qualcosa è un progresso, specie se lo stato riesce a presentare credibilmente lo scudo come un punto fermo. Peccato però che la credibilità dello Stato sull'argomento andò in pezzi proprio con l'idea «geniale», che il Pd riuscì a imporre a uno stranito Monti, di ritassare i capitali rientrati aumentando retroattivamente l'aliquota. A fronte di gettito minimo il messaggio fu devastante: chi si era fidato della parola dello Stato rischiava l'esproprio mentre in pratica si diceva che chi non aveva aderito rimanendo anonimo e nascosto all'estero aveva fatto la scelta giusta. La fuga dei capitali ricominciò impetuosa, incoraggiata anche da assurde minacce di tasse patrimoniali, dagli inasprimenti fiscali sul risparmio e da controlli stile Ddr sui conti correnti. Come possa ora Letta credibilmente presentarsi con lo stesso strumento che il suo partito voleva trasformare in una tonnara sperando che qualcuno ci caschi è un mistero. Nelle bozze si parla di un «condono sulle sanzioni», argomento risibile: chi ha esportato i capitali dopo lo scudo del 2008 era ben conscio del rischio di incorrere nelle nuove supermulte e figuriamoci se chi adesso è nascosto da un sicuro anonimato si autodenuncerà spontaneamente. Più realisticamente invece da altre parti si parla di un'aliquota al 12%: anche in questo caso è facile ipotizzare un buco nell'acqua, chi non accettò di pagare il 5% del 2008 ovviamente non pagherà il 12% di Letta. Chi invece fuggì dopo lo scorso condono è probabile che lo fece più per le minacce di patrimoniali e confische che per occultare redditi e quelle minacce sono più attuali che mai.
Davide Serra, uno dei consiglieri economici di Renzi mentre sta comodamente all'estero propone la tassazione al 30% dei risparmi: con queste premesse ci sarà la fila per uscire dall'Italia, altro che «rientro dei capitali» che quando lo fa Berlusconi è una porcheria ma se lo fa il Pd aiuta i lavoratori. La manovra delle parole.Twitter: @borghi_claudio
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