Se il Papa perdona chi lo ha tradito

L'aiutante di camera Gabriele potrebbe essere "graziato". Anche se non lavorerà più con Sua Santità

Se il Papa perdona chi lo ha tradito

«Alla fine sarà perdonato. Cer­to, con ogni probabilità non lavo­rerà­più nell'appartamento papa­le ma sarà perdonato ». È questa la soluzione che secondo molti in Vaticano il Papa adotterà per risol­vere il caso «Paolo Gabriele», il maggiordomo tenuto sotto osser­vazione dalla gendarmeria vatica­na con l'accusa di furto aggravato di documenti riservati. Lo si legge anche tra le righe dell'intervista che il sostituto della segreteria di stato, l'arcivescovo Angelo Bec­ciu, ha concesso all' Osservatore Romano proprio in merito a Vati­leaks. Seppure il Papa sia «addolo­rato », è anche vero che «prevale in lui la pietà per la persona coinvol­ta». Ieri il Papa ha rinsaldato le fi­la. Ha confermato la fiducia a chi gli è più vicino- «Rinnovo la mia fi­ducia e incoraggiamento ai miei più stretti collaboratori» ha detto durante l'udienza generale - e in particolare, seppure senza citarlo espressamente, al cardinale se­gretario di stato Tarcisio Bertone. Ma insieme egli non ha chiuso le porte alla possibilità del perdono.

Del resto tutto il pontificato in corso è all'insegna del perdono, delle aperture prima che delle chiusure. Passi concreti di amici­zia messi in campo con chi aveva in qualche modo tradito. Il primo in ordine di tempo fu il teologo ri­belle Hans Küng. Pochi mesi do­po l'elezione al soglio di Pietro, nell'estate del 2005, il Papa lo rice­vette a Castel Gandolfo. Conversò con lui per oltre due ore. Küng si di­mostrò inizialmente soddisfatto: «È stata una gioia reciproca rive­derci dopo tanti anni», disse. E fa niente se mesi dopo il teologo ri­belle riprese a picchiare giù duro contro l'«oscurantismo» del Papa tedesco. L'apertura nei suoi con­fronti ci fu e ancora oggi resta tale.

Poi vennero gli scismatici le­febvriani. Criticissimi contro la Chiesa tutta per la sua accettazio­ne del Concilio Vaticano II che a lo­ro dire fu «il» tradimento, ricevet­tero un segnale importante da par­te del Papa quando il 7 luglio del 2007 egli promulgò il Motu pro­prio Summorum Pontificum col quale liberaliz­zò la messa in la­tino. Da quel mo­mento la messa che i lefebvriani ave­vano per anni cele­brato in sostanziale clandestinità tornò a essere un diritto. Quel Motu proprio comportò tante ferite per il papato ra­tzingeriano: le proteste in­terne ed esterne furono vee­menti. Ma il Papa non demor­se. Confermò il Motu proprio e continuò a lavorare perché tut­ta la Chiesa riaccogliesse in seno gli scismatici, coloro che nel 1988 ordinando illecitamente quattro vescovi misero in campo un duris­simo affronto a Giovanni Paolo II e al«suo»prefetto dell'ex Sant'Uffi­zio, appunto Joseph Ratzinger.

Poi vennero i protestanti, o me­glio gli anglicani. Anche qui, nel novembre del 2009, un Motu pro­prio decise il loro rientro. Quegli anglicani che lo desideravano po­tevano (e possono) rientrare alla piena comunione con Roma. Le critiche stavolta arrivarono addos­so a Benedetto XVI «da destra» e la cosa non fu vissuta bene dallo stes­so Pontefice. Che però tenne il punto: il perdono dato prima agli ultratradizionalisti era ora conces­so­ai cristiani della Chiesa d'Inghil­terra. Molti anglicani si mostraro­no da subito riconoscenti, altri sbeffeggiarono il Pontefice e re­spinsero l'invito al rientro.

Certo, Küng, i lefebvriani, gli an­glicani, nulla hanno a che vedere con Paolo Gabriele. Ma il Papa non è tipo da tirarsi indietro.

Se davvero le accuse saranno confer­mate, se davvero il processo com­porterà una condanna, l'ultima palla resterà comunque nelle ma­ni di Benedetto XVI che senz'altro perdonerà. Il perdono, del resto, è al cuore della vita di fede dei catto­lici. Lo ha detto lo stesso Pontefice lo scorso 2 maggio: «Il perdono è lo strumento per la risoluzione di tutti i conflitti».

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