Un "self made man", la sua discesa in campo rivoluzionò l'Italia

Un "self made man", la sua discesa in campo rivoluzionò l'Italia

Adesso, adesso che se n’è andato, ritornano le due domande semplici che Alan Friedman pone all’inizio della monumentale biografia del Cavaliere, My way, e che danno la misura smisurata di Silvio Berlusconi: «Come ha fatto questo self made man uscito da un quartiere popolare di Milano a diventare miliardario, magnate europeo dei media e, vincendo tre volte le elezioni, primo ministro? Come è riuscito un ex cantante sentimentale a dominare il destino della sua nazione per più di vent’anni?».

Sì, perché in gioventù il poliedrico Silvio suonava la chitarra e cantava canzoni francesi per i passeggeri della Costa Crociere, a dimostrare un talento inesauribile e una volontà di ferro nel non restare imprigionato nella casella che la sorte gli aveva assegnato.

Silvio Berlusconi nasce a Milano, all’Isola, allora quartiere popolare e oggi alla moda, il 29 settembre 1936. Il padre Luigi è partito come impiegato di un piccolo istituto di credito, la Banca Rasini, e poi è salito fino alla carica di direttore. La mamma Rosa, la venerata mamma Rosa, è segretaria di direzione alla Pirelli. Una famiglia come tante nella Milano degli ultimi anni del fascismo e poi della guerra, segnati dalla diaspora: Luigi, che è un antifascista, scappa in Svizzera, e la moglie resta sola con i figli: Silvio e Maria Antonietta che nasce proprio nel fatidico 1943, mentre Paolo, da molti anni l’editore di questo Giornale, verrà al mondo nel 1949. Un periodo complicato, fra lacrime di nostalgia e trepidazione per il padre assente che un giorno, finalmente, ritorna. E quell’abbraccio, dirà Silvio, resta forse il momento più bello della sua vita.

Dagli 11 ai 18 anni il ragazzo va a scuola dai Salesiani in via Copernico, zona Stazione Centrale, e, come raccontano alcuni degli infiniti libri a lui dedicati, mette già in mostra le sue capacità non comuni: dispensa consigli e aiuto, magari una ripetizione, ma riesce anche a capitalizzare la sua generosità ottenendo in cambio piccoli regali. È l’alba dell’imprenditore, una straordinaria capacità di seduzione guidata da intuizioni che, sia detto senza retorica, hanno segnato nei diversi campi il costume e la storia italiana: le città satelliti nell’edilizia, la tv commerciale, il Milan dei 28 trofei, la sorprendente discesa in campo che spariglierà la politica.

Il giovane è irrequieto e multitasking: fa il fotografo di matrimoni, il venditore di spazzole elettriche part time, s’imbarca con Costa dove è factotum e cantante, con un repertorio di 150 testi, da Frank Sinatra a Gershwin. Poi quel mondo romantico si dissolve nell’aula della Statale: la tesi di laurea in diritto commerciale è del 1961. Subito dopo, Silvio s’inventa la prima operazione immobiliare in via Alciati. Il socio cui appoggiarsi per tirare su quattro palazzine è un costruttore, Pietro Canali, che gli offre il 5%, ma Silvio, audace fino alla sfrontatezza, lo convince a giocare alla pari: 50% a testa. Il padre Luigi lo aiuta mettendogli a disposizione i 30 milioni della liquidazione. Il colpo va a segno ed è la premessa di una nuova avventura, molto più grande: la realizzazione dell’Edilnord a Brugherio.

Berlusconi pensa in grande e nello stesso tempo si occupa di tutti i dettagli, anche quelli infinitesimali. Piazza nei suoi progetti alberi e prati, imposta soluzioni innovative, vende gli appartamenti, poi corre nel retro del box, cambia giacca e cravatta e si ripresenta interpretando un altro ruolo e fingendo di essere il cugino del precedente venditore. Sono gli inizi pionieristici di un’attività che decolla rapidamente seguendo l’ottimismo e il dinamismo degli anni Settanta. Ecco Milano 2, che diventerà una meta domenicale per le gite di moltissime famiglie, stupite da un modello di residenza che arriva da Olanda e Nord Europa.

In definitiva, Silvio Berlusconi è un visionario, ma terribilmente concreto. E un’idea ne contiene già un’altra, con cui si possono seguire i figli in piscina o assistere alla Messa. Nel villaggio sorto ai bordi della metropoli, il futuro Cavaliere mette una tv a circuito chiuso. È l’embrione dell’impero mediatico che prenderà forma all’inizio degli anni Ottanta. E che comprende anche il Giornale, diretto dal principe del giornalismo italiano Indro Montanelli. Da quel seme si sviluppa Telemilano 58, che è solo una modesta emittente, ma ancora una volta l’uomo va oltre i confini che tutti credono invalicabili. Arruola le star, cominciando da Mike Bongiorno che lascia coraggiosamente ma con sontuoso appannaggio la solidità della Rai e si avventura in quella terra incognita. Le tv locali sono state sdoganate - a partire da Telebiella - ma possono trasmettere in ambito locale. Lui non si arrende e crea un network di tv che si muovono come un sol uomo: i programmi, registrati, vengono mandati in onda nello stesso momento dalle diverse emittenti. La norma viene aggirata, la corazzata di Stato comincia a sentire la concorrenza della formica che non è più così piccola. Nel ’79 nasce Canale 5, con il simbolo del Biscione, poi arrivano Italia 1 e Rete 4.

Nel 1985 alcuni pretori spengono il segnale in diverse Regioni, ma l’alleanza fra Palazzo e popolo ribalta la situazione. Il governo di Bettino Craxi, che è un amico, scrive alcuni decreti per puntellare la nuova concorrenza della tv privata, ma contemporaneamente c’è una rivolta di popolo: i telespettatori rivogliono i Puffi, la «Ruota della fortuna», Dallas e tutto quell’universo americaneggiante che è entrato in milioni di case. I critici si indignano perché i film sono interrotti dagli spot e i sociologi tuonano contro l’edonismo e il consumismo che trasudano dai palinsesti, ma quelle immagini sono comunque una finestra che si apre sul mondo. Dal punto di vista legislativo, invece, il duopolio viene riconosciuto solo nel 1990 con la legge Mammì, che peraltro provoca le dimissioni di cinque ministri della sinistra democristiana, fra cui l’attuale presidente della repubblica Sergio Mattarella.

Lui è già oltre, preso dalle sirene del calcio. Anche qui non si limita a mettere un robusto pacchetto di banconote, ma studia, come dire, un format inedito per il football tricolore: immagina una squadra che giochi per attaccare, non arroccata in difesa secondo schemi vecchi e poco spettacolari. Compra il Milan, il 20 febbraio 1986, e gli dà un allenatore dal carattere non facile, Arrigo Sacchi, che ha scovato a Parma, nel cuore della provincia, e che condivide questa filosofia. Il presidente quasi allenatore azzecca la mossa e mette insieme uno squadrone che va alla conquista dell’ Europa e diventa un fenomeno planetario con milioni di sostenitori e una striscia di successi impressionante. Il Milan di Sacchi, e poi di Capello e poi ancora di Ancelotti, il Milan di Marco Van Basten, per citare forse il più straordinario giocatore degli anni Ottanta con Maradona, il Milan di Silvio Berlusconi e del vicepresidente Adriano Galliani, vince lo scudetto nell’87-88, la Coppa dei Campioni nell’88-89 e poi ancora nell’89-90, modernizzando il calcio del nostro Paese.

Il Milan stellare consacra il Cavaliere, ma lui è inquieto. E l’inquietudine diventa preoccupazione qualche anno dopo, quando la tempesta di Mani pulite si abbatte sul Paese. Il pentapartito va in pezzi e la Prima repubblica crolla con le immagini del processo Cusani: Forlani con la bava alla bocca mentre viene interrogato da Di Pietro, Craxi, sommerso dagli avvisi di garanzia, che combatte la sua battaglia solitaria con un celebre discorso in Parlamento.

Nel corso del 1993, Berlusconi matura l’idea di buttarsi nella mischia per fermare l’avanzata della sinistra che per lui è sempre quella del vecchio Pci. Il Cavaliere lancia segnali, per esempio annuncia che voterebbe per Fini alle Comunali di Roma. Nella sua testa c’è uno schema nuovo, almeno per l’Italia: quello bipolare, centrodestra contro centrosinistra.

Gli amici, cominciando da Fedele Confalonieri, conosciuto dai Salesiani all’età di 12 anni, e Marcello Dell’Utri, il mago della raccolta pubblicitaria, lo sconsigliano. Ma lui decide di osare, per fermare la «gioiosa macchina da guerra» di Occhetto e soci, che già pregustano una vittoria facile. E invece in sessanta giorni il Cavaliere realizza il miracolo, inventando un partito che è uno slogan accattivante, Forza Italia, e si ritrova primo ministro, con una dote di oltre 8 milioni di voti, proprio nei giorni in cui Craxi fugge ad Hammamet.

I detrattori dicono che si è candidato per salvare le sue aziende o, peggio, per tutelare interessi poco cristallini.

Per la sinistra, l’uomo di Arcore, dove ha il suo quartier generale dal 1973, è il nemico numero uno. Il quotidiano la Repubblica di Eugenio Scalfari e Carlo De Benedetti tiene alta la bandiera dell’antiberlusconismo in un Paese spaccato e polarizzato. E Berlusconi entra nel mirino del Pool nell’ultima stagione di Mani pulite. Il 22 novembre 1994 un avviso di garanzia, recapitato direttamente in edicola dal Corriere della sera, affonda il nuovo esecutivo mentre il capo del governo è impegnato in un summit mondiale a Napoli. È l’inizio di un conflitto durissimo con la magistratura che avvelenerà per vent’anni il Paese: il governo cade, gli avvisi di garanzia si moltiplicano a perdita d’occhio e per lungo tempo ci sarà un susseguirsi di processi, assoluzioni, proscioglimenti, prescrizioni, condanne che in appello diventano assoluzioni.

Berlusconi sembra fuori dai giochi, ma non è così.

Prepara la rivincita che sembrava impossibile e nel 2001 vince di nuovo le elezioni; resta in sella per tutta la legislatura, perde lo scontro con l’Ulivo di Prodi nel 2006, ritorna perla terza volta a Palazzo Chigi nel 2008. Cerca di far ripartire il Paese: qualcosa riesce, qualcosa no, i tempi del Palazzo sono lunghissimi e l’opposizione, in Aula, nelle piazze e nei tribunali, è agguerrita.

Forse i successi maggiori arrivano in politica estera e in particolare con il meeting di Pratica di Mare del 28 maggio 2002, dove si disegna un ordine nuovo e la Russia dell’esordiente Putin siede allo stesso tavolo con l’America di George Bush. Quella foto segna almeno all’apparenza la fine della guerra fredda. È una grande suggestione, ma anche un’illusione, perché le crepe che sembravano in via di superamento ritornano a marcare differenze e diffidenze sempre più profonde.

L’avventura di Palazzo Chigi si chiude nel novembre del 2011: lo spread è incontrollabile, Sarkozy e la Merkel sono gli artefici di una sorta di «intrigo», come lo chiama sempre Friedman, per disarcionare il Cavaliere, e dietro le quinte il presidente Napolitano manovra per spingere sul palco Mario Monti, il tecnocrate chiamato a salvare l’Italia.

Il Cavaliere è anche logorato dal Rubygate, dal bunga bunga, espressione che ancora una volta farà il giro dei cinque continenti. E d’altra parte il Rubygate arriva dopo le stoccate che dalla copertina della solita Repubblica la seconda moglie Veronica Lario gli ha riservato, parlando di incontri con minorenni. Le accuse cadono in sede giudiziaria, ma hanno un impatto enorme sulla stampa internazionale. Berlusconi passa la campanella a Monti. È una fase difficile, ancora di più dopo la condanna, l’unica definitiva, del 2013 in Cassazione per frode fiscale. Il Senato decreta l’espulsione del fondatore del bipolarismo italiano.

È una pagina oggetto di ricordi e polemiche infinite, ma il Cavaliere non si dà per vinto e torna sulla scena, dopo un periodo di affidamento in prova ai servizi sociali, trascorso con i malati di Alzheimer.

Berlusconi ambirebbe alla presidenza della Repubblica, ma è un sogno che sfuma, lui intanto ha una nuova compagna, Marta Fascina, e si adegua alla nuova leadership di Giorgia Meloni, la prima donna premier. È l’ultimo capitolo di una vicenda senza pari nell’Italia di oggi.

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