Sentenza choc: "Melania uccisa per un no"

Altro che tradimenti, il movente fu un rapporto sessuale negato. Il singolare verdetto potrebbe aprire uno spiraglio per la difesa

Sentenza choc: "Melania uccisa per un no"

Venti giorni d'anticipo. Per sfornare una sentenza che sembra partorita da una fantasia, da un teorema tutto privato. Non dai fatti, non dai referti dei carabinieri, non dai riscontri. «Salvatore Parolisi ha ucciso la moglie per un rapporto sessuale negato».
La sostanza è la stessa, quella cui erano giunti gli investigatori: «Lui, soltanto lui, colpevole per l'omicidio di Melania». La forma, invece, lascia aperte le porte scorrevoli della giustizia. In un processo d'Appello.
Sì perché è difficile immaginare come un gup possa aver ricostruito un perché, addirittura una «ricomposizione» tanto minuziosa per un omicidio senza testimoni il cui movente è sempre stato individuato, tra mille ipotesi e sospetti, in tutt'altra e diversa cornice.
Marina Tommolini, gup di Teramo, dà ragione alle carte investigative, solo su un punto: quello di Melania Rea fu un «delitto d'impeto» frutto di «un'enorme frustrazione». Ma da qui le strade divergono. Grasso che cola per gli avvocati difensori pronti a impugnare la sentenza. E tanto sconcerto tra gli stessi colleghi della Procura e gli investigatori. I giudice fa una ricostruzione «personalizzata» sulla dinamica del delitto. Ma anche, e soprattutto, sulle motivazioni. Trovando nella vittima una sorta di «dominatrice». Ed escludendo invece uno scenario contornato da «amanti o segreti di caserma». Quasi fosse stata lì quel maledetto pomeriggio.

«Un uomo subdolo e violento», il soldato, scrive Tommolini, spiegando il motivo dell'ergastolo inflittogli senza attenuanti. Appare una sentenza scritta sulle sensazioni la sua. «Parolisi era «silente al punto di negare un semplice buongiorno a chi entra o esce da un'aula di giustizia», anzi «l'unica volta che ha parlato di fatto ha spacciato come collaborazione un ennesimo tentativo di inquinamento probatorio». E persino «l'improvviso attaccamento alla figlia desta più di un sospetto di autenticità».
Quel pomeriggio del 18 aprile 2011, il soldato reduce dalle battaglie in Afganistan,- stando al giudice- si sarebbe «eccitato vedendo sua moglie fare pipì». «Un frustrato», aggiunge.
Una persona che viveva «in una sorta di sudditanza morale e fisica nei confronti di Melania, figura dominante» della coppia, dopo che erano stati scoperti i suoi tradimenti, ultimo dei quali quello con la soldatessa Ludovica Perrone, nella quale - continuava a «trovare conforto» dalle giornaliere umiliazioni subite dalla consorte».

Più che i rapporti di carabinieri in questo giudizio sembrano diventare prova le interviste in tv dell'imputato; le dichiarazioni dei parenti della vittima. Come la mamma di Melania. Che raccontò come la notte prima del ritrovamento del cadavere «la figlioletta piangesse in continuazione e lui non avesse mai fatto nulla per calmarla». Ancora un parente di famiglia. Lui registrava le conversazioni con Salvatore. Che gli avrebbe raccontato dei recenti problemi della moglie a causa di una «piaghetta». Quella che le impediva di far sesso da qualche settimana.
Altro che corna, chat coi trans, e amori extraconiugali. Salvatore avrebbe ammazzato per un «no» di troppo.

Guarda un po', in un boschetto dove si addestrano le truppe, e quel giorno con figlioletta di un anno e mezzo addormentata in macchina.
Ma Melania, racconta suo fratello, lo scrisse anche in un sms:«... lo aggredì in maniera tale da farlo sentire un verme»

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