Sia chiaro: non ho nulla di personale contro Ezio Mauro, ci mancherebbe. Desidero solo esprimere stupore per ciò che egli ha scritto ieri sul giornale che dirige da anni, La Repubblica. Udite: «Un presunto uomo di Stato, che ha avuto l'onore di guidare per tre volte il governo di un Paese democratico, ieri ha organizzato una gazzarra davanti al Tribunale di Milano schierando i deputati e i senatori Pdl contro la magistratura che lo indaga...». Parole grosse che commentano un fatto piccolo piccolo. L'Italia, come del resto precisa Mauro, è un Paese democratico. Talmente democratico da consentire a tutti di indire manifestazioni d'ogni tipo.
Non c'è giorno senza che una categoria non scenda in piazza e non protesti per un torto subìto, vero o presunto; per rivendicare un diritto negato, difendere il lavoro minacciato da crisi settoriali o generali, sollecitare l'intervento delle autorità affinché pongano fine a questo o a quel sopruso. Cortei, comizi, sbandieramenti, assembramenti, strade e autostrade e ferrovie bloccate da dimostranti col sangue agli occhi sono pane quotidiano. La mattina, quando esco di casa e mi reco in redazione, a volte per percorrere circa un chilometro in auto impiego un'ora, essendo costretto a compiere lunghi giri onde evitare di finire imbottigliato nel traffico paralizzato da centinaia o migliaia di cittadini impegnati in qualche agitazione.
Si agitano gli studenti (in media ogni due settimane), gli operai, i disoccupati, i cassintegrati. Ultimamente si agitano, quando non si sparano alla tempia o non si danno fuoco, anche gli imprenditori perché pagano troppe tasse allo Stato che, però, è in debito con loro per una valanga di miliardi. Di recente, in piazza Affari, a Milano, si sono dati appuntamento plotoni di edili fuori dagli stracci. Insomma, siamo assediati dai manifestanti e rassegnati a sopportare i disagi che essi fatalmente provocano. Siamo così abituati ad assistere agli sfoghi pubblici di gente furibonda che la stampa non li registra nemmeno o li liquida in poche righe di cronaca. Di sicuro fa più notizia una sfilata modaiola che una di lavoratori ridotti alla fame dal calo della produzione.
Ecco perché l'incipit del fondo scritto da Ezio Mauro ci ha colpiti: «...una gazzarra davanti al Tribunale...». Ullallà. Se il direttore della Repubblica, anziché fidarsi di chi gli ha riferito quanto accaduto sotto le finestre del palazzo di giustizia, ne fosse stato testimone oculare, avrebbe usato un linguaggio diverso. Santo cielo, saranno stati un centinaio di parlamentari, in gran parte donne, persone composte, inadeguate anche nell'abbigliamento al ruolo di contestatori, e avevano un'aria spaesata, tradivano imbarazzo. L'unico momento in cui hanno infastidito i passanti è stato quando si sono messi a cantare Fratelli d'Italia: non hanno azzeccato una nota, stonati come campane, praticamente inidonei a esibirsi al Festival di Sanremo. Di loro si potrà dire che stanno alla musica come Mario Monti sta a Palazzo Chigi, ma non che abbiano fatto un casino meritevole di essere definito gazzarra.
Suvvia, Ezio, anche tu sei stato cronista e di manifestazioni a suo tempo ne seguisti parecchie: auto rovesciate, vetrine infrante, crani rotti dalle spranghe, poliziotti e dimostranti mezzi morti o morti del tutto. Ricordi quanti colleghi, ovviamente di sinistra, facevano il tifo per chi scatenava i tafferugli e attaccavano le forze dell'ordine, attribuendo le cause degli scontri ai soliti provocatori o addirittura al grave malessere sociale? Ti pare che i parlamentari del Pdl siano assimilabili ai facinorosi di cui abbiamo raccontato le gesta in epoche non tanto remote?
Sono tentato di rammentarti lo sciopero europeo, avvenuto il 14 novembre 2012. Quel dì effettivamente fu gazzarra. Sotto il ministero di Giustizia successe il finimondo. E il tuo quotidiano - in buona fede, suppongo - in sede di resoconto affermò che dalle finestre ministeriali la polizia aveva fatto esplodere un lacrimogeno sulla testa dei dimostranti. In un secondo tempo si scoprì che la «bomba» era partita dalla strada. Questo per dire quanta indulgenza nasce dalla mentalità di sinistra verso chi manifesta e quanta severità nasce dalla stessa mentalità verso gli agenti chiamati a sedare le violenze. È anche un segno di simpatia per coloro che reclamano e di antipatia per coloro che cercano di contenerne l'ardore.
Perché allora, nel caso dei pacifici, inermi e un po' patetici pidiellini tu, caro Mauro, giri la frittata e accusi Berlusconi di aver fomentato l'odio contro la magistratura organizzando una gazzarra di fronte al tribunale milanese e mobilitando, allo scopo, i propri adepti? Cosa c'è di illegittimo o anche solo di inopportuno nel fatto che onorevoli e senatori manifestino perché il loro capo, invece di essere sconfitto alle urne, rischia l'eliminazione per mano giudiziaria? Ne va del loro partito che, senza leader, sarebbe in pericolo di estinzione.
Rammenti la reazione del tuo quotidiano quando il centrodestra progettava una legge per vietare la pubblicazione delle intercettazioni, incluse quelle coperte da segreto istruttorio? Voi della Repubblica, in particolare, bollaste quel provvedimento così: legge bavaglio. E andaste in piazza con altri, i viola, credo, per far valere le vostre ragioni. La legge non passò. Alcuni giorni fa l'editore del Giornale, Paolo Berlusconi, e il fratello Silvio sono stati sanzionati pesantemente (con la galera) per aver pubblicato un'intercettazione, coperta dal citato segreto istruttorio, riguardante Piero Fassino: «Abbiamo una banca». La Repubblica non si è indignata. Tu neppure.
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