Spendere poco non basta più. Il "low cost" va in pensione

Viaggi aerei, abbigliamento e prodotti agricoli: tramontano le strategie di vendita basate sui prezzi bassi. Colpa della crisi che ci rende esigenti

Aerei della flotta Ryanair sulla pista dell'aeroporto di Ciampino
Aerei della flotta Ryanair sulla pista dell'aeroporto di Ciampino

C'era una volta il low cost. Una parola che campeggiava ovunque, dai cartelloni pubblicitari ai volantini dei supermercati. Era sinonimo di risparmio, di affare sicuro. Una parola, insomma, capace di aprire al grande pubblico esperienze interdette ai più fino a poco tempo prima. Il low cost ha permesso di viaggiare, di acquistare abiti firmati, di mangiare senza svenarsi, di arredare casa. E tutto questo con un solo imperativo: spendere il meno possibile. Senza preoccuparsi più di tanto della qualità. Poi è arrivata la crisi economica. E il low cost è andato in pensione. Perché oggi spendere poco non è più sufficiente. La spesa deve essere sempre proporzionata alla qualità.

Così un termine abusato fino a pochi anni fa è letteralmente uscito dalle campagne promozionali dei maggiori brand, mentre quelli che proprio dai piccoli prezzi hanno tratto profitto sono entrati in una crisi profonda. «Il low cost è sparito perché è figlio di una modalità di offrire servizi propria del recente passato: l'unico obiettivo era far spendere il meno possibile - spiega Francesco Lucchetta, global strategist di Young and Rubicam group -. È stata questa strategia a far nascere fenomeni quali Ryanair, H&M, Zara e decine di discount». Che, a vario titolo, sono entrati in crisi o hanno dovuto rivoluzionare il modo di proporre i propri prodotti. Così mentre la compagnia aerea irlandese è stata criticata dai suoi stessi piloti per discutibili politiche di risparmio relative ai carburanti e ha dovuto fare i conti con un netto calo degli utili nel 2013, i giganti dell'abbigliamento a basso costo hanno deciso di puntare tutto sulla qualità accessibile a tutti. «È proprio questa la nuova frontiera della pubblicità - prosegue l'esperto -. Oggi chi acquista un bene è molto attento al suo valore aggiunto. O meglio al rapporto fra qualità e prezzo. Non è più disposto a rinunciarci, neanche in nome del risparmio». Non deve quindi stupire che il termine low cost sia stato abbandonato. «Questa parola tende a ghettizzare un prodotto. Se un bene è pubblicizzato come low cost, immediatamente viene percepito come scarso dal punto di vista qualitativo - conferma -. Ed è stata proprio la crisi economica a determinare questo cambiamento».

Perché tutti, ricchi compresi, sono diventati più attenti, tanto da mettere in discussione gli utili spropositati che alcune aziende ottengono applicando prezzi altissimi a prodotti realizzati in Paesi nei quali il lavoro costa davvero pochissimo. «Anche chi non ha problemi economici oggi tende ad avere un profilo più basso - conferma Peter Grosser, amministratore delegato e Ceo dell'agenzia Cayenne -. Il prezzo è diventata una variabile fondamentale nelle scelte. Quindi pubblicizzare un bene come low cost ormai è inutile. Anche perché questo termine tende a essere percepito dai consumatori come negativo in un periodo storico di pessimismo generale». Ormai lo hanno capito tutti: dai grandi brand del lusso, che per giustificare i propri prezzi mettono in rilievo la qualità eccelsa dei prodotti, ai coltivatori diretti. Una recente indagine della Coldiretti ha, infatti, dimostrato che gli alimenti low cost non si vendono più come un tempo. Nel primo trimestre del 2013 l'acquisto di generi alimentari nei discount ha subito una contrazione dell'1,3 per cento. Perché anche quando si tratta di mangiare gli italiani non sono disposti a rinunciare a un minimo di qualità. Così è proprio questa a emergere. «Basta guardare le campagne di comunicazione dei brand dell'abbigliamento a basso prezzo - conclude Lucchetta -.

Oggi si tende a mettere in rilievo il valore aggiunto di ogni prodotto. Anche attraverso il lancio di edizioni limitate, firmate da grandi stilisti, che rendono accessibili al grande pubblico beni di lusso». Un low cost mascherato, che almeno infonde un po' di sano ottimismo.

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