«I soldi vanno presi dove ci sono». Quante volte abbiamo sentito dire questa frase da politici di ogni colore in favore di telecamere come se fosse una cosa intelligente? In un Paese normale i soldi andrebbero presi da chi li deve pagare, invece da noi, Paese di grandi pescatori, si usano le reti e la tonnara più efficiente si sta rivelando il conto corrente, perfetta sintesi di un sempre più saldo patto Stato-banche.
Ha fatto notizia uno studio riportato dal Corriere della Sera che quantifica le misteriose Civ (dove c'è una sigla lì si annida la fregatura), vale a dire le «Commissioni di istruttoria veloce» applicate dalla banca al correntista che, magari per errore, sconfina anche solo per un giorno «andando in rosso» sul conto corrente. Ebbene, si rischia di pagare anche 50 euro per un solo giorno di sconfino. Basta «non arrivare alla fine del mese» spendendo qualcosa in più prima dell'accredito dello stipendio o della pensione per trovarsi magari in un anno 600 euro da pagare di «commissioni». Altro che Imu.
In realtà non c'è troppo da stupirsi: la strada tracciata è chiarissima e l'esito infausto per i cittadini. Il conto corrente degli italiani è trasparente, indifeso e vulnerabile. Le banche agiscono come «sostituti di imposta» e quindi sono autorizzate a prelevare qualsiasi cifra per conto dello Stato senza dover domandare nulla a nessuno. Fu così ai tempi del prelievo notturno di Amato sui conti ed è ancora così oggi, per esempio con i vari bolli sui depositi titoli furbescamente mai considerati da chi parla di tasse sui risparmi. Un clic e via, tosata la pecora.
Vista la facilità del prelievo è ben comprensibile come le banche, messe in difficoltà dalla crisi, pensino di rimpolpare i propri bilanci ricorrendo agli stessi metodi, non troppo diversi da quelli che aveva candidamente confessato ai magistrati l'ex numero uno della Banca Popolare di Lodi, Giampiero Fiorani, il quale ammise di aver «spalmato» perdite sui conti correnti dei clienti aumentando commissioni. Questa volta però è tutto alla luce del sole, o quasi. Già da tempo i correntisti hanno subìto i famigerati «cambi unilaterali delle condizioni» con cui la banca, con una semplice letterina in caratteri piccoli, modifica a suo piacimento (e a suo favore) interessi, commissioni e spese: nel caso delle Civ invece si tratta di uno strumento di tosatura regalo del governo Monti che, curiosamente, venne concesso agli istituti di credito nel giugno del 2012, dopo che le banche già una volta avevano fatto calare lo spread imbottendosi di titoli di Stato e, con l'indicatore tornato a 500, il Professore necessitava di un «secondo giro» di acquisti.
Quali che siano stati i motivi alla base della concessione delle Civ sembra sempre più ovvio che il grande debitore (lo Stato) e il grande creditore (le banche) stiano stringendo un'alleanza sempre più stretta allo scopo di spennare il grande pollo (il cittadino). Con la scusa della lotta all'evasione si obbliga l'uso del conto corrente criminalizzando il contante: una volta accentrato tutto sui conti ecco partire il fuoco di fila delle tasse e delle commissioni, sempre meno distinguibili tra loro. Senza dimenticare che sullo sfondo aleggia sempre il rischio del bail in ovvero del folle sistema «alla Cipro» di far pagare ai correntisti anche eventuali buchi nel bilancio delle banche. Capite la logica perversa? I fautori del bail in europeo, supinamente accettato dai nostri rappresentanti, ricordano che un correntista presta soldi alla banca e quindi è giusto che rischi.
Ma se è
così si dovrebbe essere liberi di scegliere se farlo o meno: invece no, si viene obbligati e poi si scopre che il nostro conto diventa un luogo dove «prendere i soldi dove ci sono». Fino a quando?Twitter: @borghi_claudio
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