La tregua è finita: così i pm ripartono all’attacco del Cav

La nuova trovata dell’accusa: le ospiti delle feste di Arcore mentono in cambio dei soldi offerti dall’ex premier

La tregua è finita:  così i pm ripartono  all’attacco del Cav

Milano - Dice di chiamarsi Marco, è biondo, occhi azzurri, accento straniero. Sulla ribalta del processo a Silvio Berlusconi per il «Rubygate» adesso fa irruzione anche questo fantomatico emissario del Cavaliere, inviato sotto il portone di una procace fanciullona per indurla - con le buone o con le cattive - a tacere sulle allegre serate nella villa di Arcore. Non è una novità che esce per caso, e non è neanche una nota di colore. Anzi. È il segnale della nuova offensiva dei pm per inchiodare l’ex presidente del Consiglio alle sue (presunte) responsabilità per il Rubygate, ribaltando l’esito di un processo che finora per la Procura andava così così.

A parlare di «Marco» è ieri mattina in aula Iman Fadhil, una delle tre ospiti delle feste di Arcore che si sono costituite parte civili contro Emilio Fede, Nicole Minetti e Lele Mora, accusati nel processo parallelo di avere arruolato le partecipanti alle sere del bunga bunga. Entrambi i processi si trascinano con fatica, e segnati soprattutto da testimonianze che fino a questo momento non hanno portato in aula la prova della colpevolezza di Berlusconi, accusato di utilizzo della prostituzione minorile. Certo, la Procura potrebbe accontentarsi dell’altra accusa a carico dell’ex premier, quella di concussione per le telefonate alla questura di Milano che portarono al rilascio di Ruby. Ma è un reato che la nuova legge cui sta lavorando il ministro Severino potrebbe modificare. E comunque la Procura ha ben chiaro che la condanna vera - eticamente, politicamente e mediaticamente - è quella per utilizzo della prostituzione minorile. Qui si gioca il processo: dimostrare che Berlusconi ha avuto rapporti sessuali a pagamento con Kharima el Mahroug sapendo che era minorenne.

Tutto il resto - le serate del bunga bunga, le olgettina girls, i particolari scollacciati che anche ieri vengono messi a verbale d’udienza, con racconti di bonazze in culotte e a torso nudo, sexyinfermiere e porno poliziotte, e persino con la maglia di Ronaldinho - serve solo a dipingere il contesto delle serate di Arcore e a rendere verosimile il contatto ravvicinato Silvio-Ruby. Il problema è che finora non si è trovata uno straccio di testimone disposta a venire in aula e a raccontare di avere avuto rapporti sessuali con il Cavaliere. Interrogate sul punto, le ragazze dicono tutte di avere partecipato alle serate, essersi annoiate, avere declinato eventuali offerte accettato i regali, e di essere tornate a casa incolumi con la benedizione di Berlusconi. Un guaio, per la Procura. E le cose per i pm peggioreranno ancora quando in aula arriverà l’unica presunta vittima, ovvero Ruby: e, salvo clamorosi ripensamenti, negherà di avere fatto la conoscenza biblica dell’allora capo del governo.

Ma la Procura non è rimasta con le mani in mano. E in silenzio, da mesi, ha preparato la seconda offensiva, quella che punta a incastrare definitivamente Berlusconi, dimostrando con prove documentali quello che Ilda Boccassini, Piero Forno e Antonio Sangermano sospettano dall’inizio: le ragazze di Arcore tacciono perché il loro silenzio è stato comprato dal Cavaliere. La Procura è partita puntando al bersaglio grosso, cioè Ruby: un appunto trovato durante l’indagine ha convinto i pm che alla ragazza siano stati dati o promessi ben 4 milioni e mezzo. Ma l’inchiesta bis ha coinvolto a tappeto tutte le giovani donne. È così che si è arrivati alla provvidenziale segnalazione della Banca d’Italia sui soldi versati da Berlusconi a Nicole Minetti e alle gemelle De Vivo. È per questo che ormai in aula il pm Sangermano ripete a tutte le testimoni la stessa domanda: «Lei ha ricevuto pressioni?».

Ed è così che Imam Fadil rivela quello che non aveva mai detto, neanche rispondendo alla domanda precisa che nell’agosto 2011 le rivolsero i pm. «Parlo solo adesso perché avevo paura», si giustifica.

E dice che nel maggio o nel giugno ricevette sotto casa la visita del misterioso Marco, che la invitò ad «andare là», e cioè ad Arcore, dove per farla stare zitta le avrebbero dato dei soldi. Per tenere i contatti, le diede il telefonino di un morto. In diretta, il pm Sangermano manda la polizia a casa della giovane: il telefonino non si trova, ma la scheda sì. Nuovi sviluppi vengono dati per imminenti.

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