Tremonti ai raggi X: successi ed errori di un superministro

L’operato del titolare dell’Economia divide la critica. Bisogna riconoscerne i meriti, come il pareggio di bilancio previsto nel 2013 e la cedolare secca sugli affitti. Ma tutti ora attendono il taglio delle tasse

Tremonti ai raggi X: 
successi ed errori 
di un superministro

Si discute molto di Giulio Tremonti per stabilire se merita o demerita come ministro dell’economia e se e quanto sia liberale. C’è però, da parte dei critici, spesso, confusione fra liberismo, cioè economia di mercato senza regole per assicurare la concorrenza (che lui critica come «mercatismo») ed economia di mercato libero. Ed ecco il merito, che io chiamo storico, con cui egli può essere paragonato a Quintino Sella e Marco Minghetti, i due ministri della Destra storica, che nel 1870-1876 raggiunsero il pareggio del bilancio. Un obbiettivo previsto dalle leggi sulla finanza pubblica di Tremonti entro il 2013, basilare per la stabilità e la crescita economica duratura. Non è solo suo merito, ma anche di Berlusconi che gli dà fiducia, sopportando le sue pecche e le lamentele dei ministri colpiti dalla lesina.

L’Italia, senza la linea di rigore sarebbe nei pigs (alla lettera, in inglese «maiali»), acronimo per i paesi europei suscettibili di crisi del debito. Invece grazie al rigore, di un governo, che secondo giornali, cosiddetti moderati, è incapace di governare, l’acronimo pigs adesso, alla lettera «I», include l’Irlanda, entrata in crisi, per un crack delle sue banche che hanno prestato fiumi di soldi senza adeguato risparmio e del suo governo che le ha salvate, senza una finanza in grado di farlo.

L’Italietta di Tremonti ha partecipato al suo salvataggio, da parte del Fondo europeo di stabilizzazione finanziaria, con una quota del 18,4%. Poco prima, il nostro ministero dell’Economia aveva contribuito con la stessa quota al salvataggio della Grecia e ora si appresta a farlo per il Portogallo. Questi prestiti hanno tassi superiori a quelli che paghiamo sul nuovo debito. Quindi «aiutiamo» guadagnandoci un differenziale, nonostante che il nostro debito pubblico superi il 118% del Pil. Con il graduale risanamento del bilancio, il debito italiano scende. Così si riduce il tasso sul nuovo debito, consistente soprattutto nel rinnovo di quello che viene a scadere. Il bilancio in quasi pareggio e poi in pareggio genera sviluppo perché alleggerisce la spesa per interessi sul debito e accresce i valori dei patrimoni di banche, imprese, e famiglie a causa dei minori i rischi del sistema Italia. Dà così una maggior base per l’investimento, l’occupazione e la produttività. Soprattutto, così, chi investe pensa che non dovrà subire nuove imposte o dilazioni di pagamenti delle pubbliche amministrazioni e non troverà una stretta del credito o una caduta di domanda, causata da stretta fiscale. Il pareggio di un paese con debiti eccessivi, genera crescita durevole, perché così si risana.

Altro merito tremontiano, i suoi «bonds»: obbligazioni statali con la qualità di prestiti subordinati a garanzia del patrimonio delle banche, per aiutare quelle sotto capitalizzate. Misura liberale, in quanto conforme al mercato, non essendo né un aiuto, né una partecipazione statale al capitale sociale della banca.

Terzo merito: lo scudo fiscale per fare rientrare i capitali nascosti dall’estero, con la regola che quelli ancora occulti sono sottoposti ad accertamenti mirati. Ultimo merito: la cedolare secca sugli affitti, una corposa riduzione fiscale, collegata al recupero dell’economia sommersa.

Accanto a queste quattro riforme liberali, tre pecche. La prima è non avere modificato il decreto Bersani-Visco, che ha ingessato il mercato immobiliare, stabilendo che le imprese di intermediazione sono tassate con l’imposta di registro, anziché coll’Iva, quando comprano da privati e anche quando rivendono a privati. L’Iva sugli acquisti si detrae dall’Iva sulle vendite, non così l’imposta di registro, che si duplica. Il decreto Bersani-Visco ha tassato anche i compromessi di vendita ed ha stabilito che i valori tassabili degli immobili venduti non sono quelli effettivi o i catastali rivalutati prudenzialmente, ma quelli di mercato, come se non ci fosse chi è costretto a vendere a minor prezzo. Seconda pecca di Tremonti: la norma per cui bisogna pagare l’imposta accertata dal fisco prima di far ricorso contro l’accertamento. Non è vero rimedio, quello che ora si progetta, di ridurre a metà il pagamento anticipato. Terza pecca di Tremonti, avere costituito, per difendere Parmalat un fondo sovrano dello stato con i compiti più vari: ciò è sproporzionato e non conforme al mercato. Non è sua, però, la colpa nel ritardo alle liberalizzazioni, che toccano ad altri Ministeri. Sui «tagli lineari» delle spese, ogni ministro potrebbe replicare a Tremonti con proposte alternative selettive.

Il ritardo nel ridurre le imposte c’è, ma non tutto si poteva far prima. E ora questo progetto viene rilanciato, dall’asse Berlusconi-Tremonti.

I meriti, nella sua pagella, dunque, superano le pecche. E la politica del mondo reale è spesso impura «arte del possibile».

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