Pochissimi, da contarsi sulle dita di una mano. Gli amici di una vita, i fratelli, i consiglieri indispensabili, gli uomini più di fiducia, le eminenze grigie. I soli capaci di dire anche cose scomode, di non essere d’accordo, di criticare perfino un personaggio che proprio non amava essere contraddetto.
Gianni, Fedele, Adriano, Marcello si rivolgevano a Silvio da pari a pari, non dovevano dimostrargli nulla né lui a loro, ne conoscevano grandezze e debolezze, ambizioni e misteri. Potevano parlare a nome suo. Letta, Confalonieri, Galliani, Dell’Utri. Tutti erano presenti nel 1993 alla riunione di Arcore in cui Berlusconi annunciò la sua discesa politica in campo ai vertici delle sue imprese ed ebbero il coraggio di scagliarsi contro, tranne l’ultimo. Fuori dalla larga e rumorosa corte degli yesmen che circondava Berlusconi, lontano dai cerchi magici che periodicamente si formavano e di dissolvevano per condividerne lembi di potere loro, gli amici fedelissimi c’erano sempre. Ma per lo più in silenzio e lontano dai riflettori. Ognuno nel suo campo.
Letta, Gran Maestro delle strategie politiche, tessitore dei rapporti con le istituzioni, mediatore diplomatico insostituibile. Confalonieri, un’adolescenza insieme, protettore degli interessi delle sue imprese, dominus dell’impero economico-finanziario. Galliani, custode della grande passione per il calcio, dal Milan al Monza, sempre impegnato a fornire nuove sfide a soddisfare l’inesauribile voglia di vittorie sul campo. E poi Dell’Utri, compagno e forse istigatore nell’avventura politica, un tuffo rischioso e pieno di incognite, lui, fine intercettatore dei movimenti tellurici che creano e disgregano partiti. Quanti altri con loro? Davvero pochi, più o meno presenti in diverse stagioni del cammino berlusconiano, fatto di impensabili successi e di qualche clamorosa caduta, di stop annunciati e di rinascite inattese, da Cesare Previti a Denis Verdini ad altri andati via prima di lui come Niccolò Ghedini, fino a Emilio Fede.
Qualcuno potrebbe vedere in questo ristretto gruppo di uomini un circolo di ottantenni classe 1936 e dintorni, ma tutti erano capaci con Berlusconi di orientare le sorti di nazioni e cambiare scenari internazionali, personaggi di genio e di potere fuori dal comune. Ora che sono «orfani» di Silvio, gli amici stentano a riprendersi dallo shock. In mattinata Letta lascia i suoi uffici senza un commento. Il giornalista è accanto a Silvio quando nel 1987 diventa vicepresidente del settore comunicazioni del gruppo Fininvest, poi dopo il trionfo del Pdl del ’94 Silvio premier lo vuole sottosegretario di Stato alla presidenza del Consiglio. Idem nel secondo e terzo governo Berlusconi. È l’unico che Silvio può immaginare al Quirinale al posto suo e nel 2006 Letta raccoglie 369 voti al primo scrutinio. Ora tace, come Confalonieri, amico da quando avevano 12 anni, suo compagno di liceo e di università, uno che con Silvio cantava alle feste private e sulle navi da crociera e poi è stato determinante nell’avventura televisiva. «Se sono quel che sono, lo devo a lui», ripeteva il presidente di Mediaset. E durante il ricovero ogni giorno andava a fargli visita.
Accanto al presidente rossonero, alla guida del Milan dal 1986 al 2017, pronto a preparare e poi a condividere la gioia peri 29 trofei, c’era Galliani. Per colmare il «digiuno» calcistico di Silvio, gli propone la nuova avventura del Monza che dal 2018 compie la scalata dalla serie C alla A. Quello che oggi è l’ad del club brianzolo parla di «un vuoto che non potrà mai essere colmato».
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