Un video choc per dire addio alla vita

Un video choc per dire addio alla vita

«Devastante». In un certo senso ruota tutto attorno a quella parola, quell'aggettivo che Piera Franchini sentì pronunciare dai medici dopo l'intervento al quale si era sottoposta. La diagnosi era una «piccola lesione al fegato». Invece, al risveglio dopo il bisturi, il dottore le aveva spiegato che il suo tumore ormai era troppo diffuso. «Talmente devastante - aveva detto - che non abbiamo potuto fare niente». Il cuore di Piera Franchini, 76 anni, si è fermato il 29 novembre scorso, in una clinica svizzera, con un suicidio assistito. Ma lei - come racconta nel video pubblicato ieri sui siti internet dei principali quotidiani italiani, e diffuso dall'Associazione Luca Coscioni, che lancia così, da oggi, la raccolta firme della campagna «Eutanasia legale», per chiedere una legge che legalizzi questa pratica nel nostro Paese - è morta in quel preciso momento del 13 aprile 2012. Quando, qualche ora dopo l'operazione, i dottori non le hanno dato speranze di vita. Il suo - fa notare la donna in quei tre minuti di filmato choc, girato un mese prima della morte, il 27 ottobre del 2012 - è un caso in cui «non ci sono altre strade possibili, che mi portano alla guarigione, che mi portano ad avere una vita diversa». Tutte le strade conducono lì, alla «fine». E ci si arriva passando attraverso la sofferenza. Attraverso cerotti che rilasciano sostanze per lenire il dolore, con un dosaggio via via più elevato. Così Piera la sua decisione, definitiva come nessun'altra, l'ha presa. Da Chirignano, il paese dove abitava in provincia di Venezia, nel giugno dell'anno scorso ha chiesto un appuntamento presso una clinica vicino Zurigo, in Svizzera. Dove, se decidi che vuoi morire, farlo è più facile. È legale, anche se è richiesta un bel po' di burocrazia: i farmaci che inducono alla morte vengono somministrati direttamente dal medico. Succede lo stesso pure in Olanda, Belgio, Lussemburgo. In Svezia e Germania, invece, è consentita solo l'eutanasia «passiva», vale a dire lo stop delle cure. In Italia, dove non c'è una normativa specifica che regoli la materia, ogni anno il 62 per cento dei circa 80-90mila malati terminali muore, secondo l'Istituto Mario Negri, grazie all'aiuto «non ufficiale» dei medici, cioè ricorrendo a forme clandestine di eutanasia.
Circa un mese prima di morire, nell'ottobre del 2012, Piera Franchini, che a Venezia era stata tra i membri fondatori di Rifondazione comunista, ha contattato l'associazione Luca Coscioni. Lo ha fatto in risposta all'appello «A.A.A. Malati terminali cercasi», lanciato dai Radicali proprio in quei giorni, e che non piacque a tutti, suscitando parecchie polemiche. Hanno girato il video, la 76enne ha dato il suo consenso all'utilizzo, il giorno successivo il tesoriere Marco Cappato l'ha accompagnata al primo colloquio nella clinica svizzera. Un colpo di acceleratore lungo il percorso, per accorciare la sofferenza. Una sgommata e arrivi, più veloce, alla fine della strada. «Mi fa paura» ammette la donna nel filmato. «Però - aggiunge subito dopo - non ho dubbi». E si chiede: «Perché devo soffrire? A chi serve? Diventa una sofferenza fine a sè stessa, che non giova a nessuno». Dopo quel primo colloquio c'è stata una visita medica, e tutta una documentazione da presentare. E, infine, la scelta ultima del malato.

Da quel punto in poi, spiega ancora la donna nel video, «l'equipe di medici è a disposizione in qualsiasi momento». L'eutanasia - la «dolce morte», quella che ti fa saltare il dolore - è stata praticata a Piera Franchini lo scorso 29 novembre. «Ti danno una bibita», dice. «Poi ti addormenti. E basta». Non ti svegli più.

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