Visco difende la riforma. "Spingerà le banche a concedere più crediti"

Il governatore di Via Nazionale replica alle accuse: "La rivalutazione delle quote non è un regalo, anzi favorirà imprese ed economia reale"

Visco difende la riforma. "Spingerà le banche a concedere più crediti"

Paghi oggi, stai meglio domani. Questo, in estrema sintesi, l'impatto sugli istituti di credito della riforma sulla cessione delle quote della Banca d'Italia. E che i vertici della Banca centrale hanno illustrato in una conferenza stampa.

Paghi oggi. Il decreto che contiene la riforma (perché di riforma si tratta, anche se il termine «epocale» fa venire l'orticaria ai vertici di Bankitalia) prevede l'aliquota fiscale - il 12% - che le banche dovranno versare all'Erario sulle plusvalenze dell'operazione. In più, il testo prevede anche un aumento al 130% dell'acconto Ires e Irap. Nel complesso, il provvedimento peserà (sottoforma di maggior prelievo fiscale) per oltre un miliardo e mezzo sui bilanci delle banche.

Stai meglio domani. La trasformazione delle riserve in patrimonio consentirà alla Banca d'Italia una sorta di aumento di capitale gratuito (anche questa formula non è gradita in Via Nazionale). Infatti, nessuno spenderà di più dalla trasformazione di quote di partecipazione in quote di capitale. In compenso, a partire dal 2015, le quote che verranno divise tra le banche azioniste potranno essere da queste portate a patrimonio. Un'agevolazione che consentirà di migliorare il proprio ratio patrimoniale dello 0,4%. Ma solo dal prossimo anno.

Come a dire: non può essere utilizzato per alleggerire il peso degli stress test, che tra breve dovranno misurare la solidità delle banche europee.

Non solo. In base all'operazione, i dividendi che verranno girati alle banche e alle istituzioni finanziarie che deterranno le quote della banca centrale (al massimo il 3% per uno) passeranno da 70 a 450 milioni come tetto massimo. Quelle invendute verranno ritirate da Via Nazionale e collocate in un secondo tempo a prezzi di mercato.

«Non è un regalo alle banche. Non è una privatizzazione della Banca d'Italia. La banca centrale resta pubblica», sottolinea il governatore Vincenzo Visco. Anche perché - ma questo lo dice fra le righe - le plusvalenze che le banche riceveranno dalla nuova definizione d'assetto della banca centrale verranno utilizzate dagli istituti per ridurre le sofferenze. Ne consegue che questo miglioramento potrebbe, indirettamente, favorire l'economia reale.

Una volta ridotte le sofferenze, insomma, le banche potrebbero destinare maggiore risorse all'economia reale. «La Banca d'Italia non è dirigista», sottolinea il governatore. Vale a dire, che per raggiungere questo risultato dovrà usare le armi della moral suasion sugli istituti che, da «partecipanti» al capitale della banca centrale, diventeranno azionisti.

La conferenza stampa sembra destinata a un unico fine: tranquillizzare i parlamentari (soprattutto pentastellati e d'opposizione) che il provvedimento non rappresenta un regalo alle banche. Mentre punta a «correggere - spiega Salvatore Rossi, direttore generale della banca - inestetismi legati alla vecchia riforma».

In realtà, quella approvata con un'aula di Montecitorio trasformata in un ring, è una profonda riforma della Banca centrale. «Una scelta - argomenta sempre Rossi - voluta dall'autorità politica, e sulla quale la Banca d'Italia non è intervenuta».
Casualmente, l'«autorità politica» che ha messo a punto la riforma si chiama ministro dell'Economia.

E, sempre casualmente, il ministro dell'Economia in carica si chiama Fabrizio Saccomani. Che, incidentalmente, prima di entrare nel governo ricopriva il ruolo che oggi svolge Rossi, quello di direttore generale della Banca d'Italia. Coincidenze.

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