"Io nel tritacarne per una frase travisata"

È stato travolto da oltre centomila minacce di morte via internet e telefono in pochi giorni per aver detto che Cucchi è stato ucciso anche dalla droga. Ma adesso reagisce: «Le mie parole sono state falsificate»

Sottosegretario Carlo Giovanardi, quante volte le hanno detto che somiglia al don Camillo dei film?
«Un'infinità».

Così ha finito per assumerne i toni bruschi... Ma come le è saltato in mente di dire alla radio quelle cose terribili sul giovane Cucchi?

«Mai dette. Falsificazione pura».

Attento, in questo modo finisce nel tritacarne.

«Ci sono abituato, ma non demordo. Ogni battaglia ci provano... Mica mi tiro indietro, sa?».

Non sarebbe da don Camillo... E neppure da lei, gran testone recidivo.
«Già. Sa che mi sono arrivate minacce di morte? Legga».

Leggo: insulti, minacce, auguri di finire sotto un auto.

«... "è inutile che cerchi di proteggere te e la tua famiglia di merda"... ».

Tutto questo sul suo telefonino. Come hanno fatto?
«Questo è niente: su Facebook impazza il tiro al Giovanardi. (Rivolto al carabiniere che gli fa da assistente) Quanti sono i messaggi insultanti e minacciosi? Lo sente? Siamo a quota centomila».

Però, mica male.
«È il tam tam che passa attraverso centri sociali, gruppi organizzati a vario titolo... ».

Pure lei, però... Mai che si tiri indietro: per esempio, sul caso Cucchi a Radio24: era proprio indispensabile dire che è morto perché drogato, una larva, eccetera? Non ha pensato alla famiglia?
«Ci ho pensato: difatti ho chiamato per chiarire che se le mie parole potevano essere state fraintese, mi scusavo. Non era anoressico, dice la sorella: ne prendo atto e mi scuso. Ma io ho detto ben altro».

Vale a dire?
«Guardi, qui il killer è uno: la droga».

Che fa, ripete l'errore? Qui c'è un ragazzo massacrato di botte mentre era in attesa di giudizio, come in un Paese civile non dovrebbe mai accadere.
«Nessuno sa che cosa sia successo, difatti c'è un'inchiesta per accertarlo. Ma il nodo vero è un altro: ha perfettamente ragione la famiglia, il ragazzo è morto disidratato perché nessuno gli ha dato da mangiare e bere. È entrato sulle sue gambe di 42 chili, è morto che pesava 35... Anche il legale della famiglia concorda con me».

Non crede che se qualcuno non lo avesse preso a botte, non sarebbe neppure entrato, in ospedale?

«Guardi qua: ho già dichiarato che se verrà trovato un responsabile, il governo si costituirà parte civile. Aspetteremo le indagini, il comportamento cui è stato sottoposto Cucchi è indegno. Ma è indegno anche che l'abbiano lasciato morire così, basandosi sul presupposto che lui ha rifiutato le cure. Invece non poteva decidere, non era normale... ».

Che significa non «era normale»? Attento, ricade nel possibile fraintendimento.
«Significa che il ragazzo, essendo tossicodipendente, era in una condizione psicologica fragile, patologica. In questi casi il medico deve essere obbligato a curarlo e salvarlo. L'ho detto in tutte le salse, fino alla noia. "L'hanno ridotto a una larva e l'hanno fatto morire": per questo vengo linciato».

Addirittura.
«Non le consento ironie: guardi qua. L'Unità intervista un signore che sostiene di essere il legale di Cucchi, e di aver parlato con il Pm, e chiede le mie dimissioni. Solo che... ».

Solo che?
«Solo che, e guardi ancora qua (durante l’intervista il sottosegretario compulsa una marea di documenti), il Pm mi dichiara di non averlo mai conosciuto prima e che non è il legale di Cucchi per questa vicenda. Infatti quello vero si chiama Anselmo e quello dell'Unità Marini. Capito la falsificazione?».

Anche gli altri giornali hanno rilevato l'inopportunità di certe dichiarazioni. Merlo sulla
Repubblica la definisce addirittura «cattolico feroce». Ma non si pente neppure un pochino?
«La smetta. Se Merlo avesse frequentato, come me, le comunità di recupero dei tossicodipendenti non avrebbe scritto quella serie di insulti rivolti alla mia persona. Chi vuole davvero bene ai ragazzi che sono incappati nella droga, come Muccioli, come don Gelmini, chi s’è davvero sporcato le mani con le centinaia di migliaia di ragazzi che soffrono, sa che il linguaggio migliore è il linguaggio diretto, vero, duro. Ecco, bisogna avere il coraggio della verità».

Magari per la famiglia è ancora un po' troppo duro.

«Difatti con loro mi son scusato, non con chi è in perfetta malafede».

Magari non è lo stesso linguaggio pudico e comprensivo che viene usato per Marrazzo e i tossicodipendenti della «top class». Non c'è un problema di due pesi e due misure? I ragazzi emarginati non vengono criminalizzati troppo?

«La famiglia di Cucchi è normalissima, il ragazzo non era affatto emarginato. La droga rovina ragazzi di buona famiglia, manager, e quelli che abitano a Scampia. Il rischio è lo stesso, portato dalla cultura della trasgressione e dello sballo... La droga non fa distinzioni».

Purtroppo i giornali a volte sì. Ma non sarebbe opportuno che si astenessero i politici? Peraltro proprio lei, che ha lanciato l'operazione «Parlamento atossico»...

«Anche in questo caso, ha visto come viene criticata un'iniziativa meritoria? Chi fa uso di droga non dovrebbe occuparsi della cosa pubblica. Come i camionisti, i piloti eccetera, può fare danni incredibili».

Si critica il fatto che i politici vadano a fare il test quando vogliono, dunque non v'è certezza di risultato.
«Invece sì, dall'analisi combinata di capello e urina risulta chi ha preso droga negli ultimi sei mesi».

La privacy impedisce di sapere i risultati, ma non si potrebbe almeno sapere i nomi di chi si è sottoposto al test?

«No, si potrà sapere soltanto su base statistica, anonima. Più di così, a normativa vigente, non si può fare».

Appunto. A parte la repressione e la prevenzione con gli spot, cos'altro può fare il dipartimento anti droga?

«Abbiamo solo 9 milioni di euro a disposizione, la maggior parte dei quali vanno in misure per il reinserimento nel lavoro degli ex drogati. Ho proposto una norma per far sì, che nei processi, si possa chiedere ai piccoli spacciatori il ricovero immediato in comunità, al posto del carcere».

Sarebbe una buona cosa.

«Già, peccato che la materia spetti alle Regioni, cui ho proposto che l'uno per cento della spesa sanitaria regionale venga destinata alla cura delle tossicodipendenze».

Che cosa le hanno risposto?
«Da febbraio aspetto ancora di essere convocato alla Conferenza Stato-Regioni. E se non ci sono i soldi, lei capirà... ».

... non se ne fa nulla.
«Già».

Così, nonostante il suo lavoro, continuerà a sentirsi minacciato e perseguitato. Ma non sarà perché ce l'ha tanto con lo spinello, che la maggioranza degli italiani almeno una volta ha provato? Magari usa un linguaggio un po’ ruvido e focoso, che ricorda quello di Vincenzo Muccioli...
«Il paragone con Muccioli mi onora. È acclarato che a 12-14 anni dallo spinello si passa alle droghe più pesanti. E se cominci presto, anche solo con le droghe leggere, a 18 hai buchi nel cervello, neuroni spenti».

Lei ha mai provato una «canna»?
«Mai».

Cocaina, ecstasy, lsd?
«Per carità. La droga rende fragili... ».

La droga rende fragili o si è fragili e per questo ci si rifugia nella droga?
«La discussione è apertissima: di sicuro c'è che la droga rovina. Io penso che si possa essere predestinati... ».

C'è un po' di severità paternalista, nella sua visione.
«Prenda la battaglia contro le stragi del sabato sera: non vado troppo per il sottile, penso che se si fossero adottate delle regole di buonsenso, quei tantissimi ragazzi morti all'alba sarebbero ancora vivi. Il mio dipartimento si occupa di droga e servizio civile: da un lato chi si smarrisce, dall'altro chi si sacrifica per gli altri. Il male e il bene. Penso che ognuno possa scegliere e risponda a se stesso e agli altri della scelta».

Chi è o che cosa fa la differenza?
«La differenza la fanno la famiglia, la scuola, la parrocchia, la società sportiva...

Chi ha la fortuna di crescere con dei buoni input sceglie il servizio civile e non la droga».

E la cultura della trasgressione che passa attraverso la tv e mille altri canali?
«Anche, ma il governo non può dare risposta a questa domanda».

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