«Io sto al centro e dialogo con la Cdl»

da Roma

«Neanche a parlarne!», taglia corto Gerardo Bianco che da venerdì non s’è mosso dalla prima fila, ha ascoltato con attenzione ogni intervento del congresso, e ora annuncia senza se e senza ma che non aderirà al Partito democratico. «Sono loro che se ne vanno, non io» spiega Jerry White anticipando il progetto al quale lavorerà sin da domani: con la sua Associazione dei popolari, si darà da fare per riaggregare quel che resta del centro, con l’Udeur di Clemente Mastella, Italia dei Valori di Tonino Di Pietro, Marco Follini e pure l’Udc.
Perché neanche a parlarne del Pd?
«Perché tutto avviene soltanto come auspicio e scommessa, non c’è un’idea convincente ma una grande confusione di prospettive e di linguaggi. Qual è il partito che si vuol costruire, quello di pure formalità procedurali e organizzative prospettato da Parisi? Che peraltro propugna il presidenzialismo, una cosa lontana anni luce dalla nostra cultura»
Anche gli interventi dei suoi amici popolari, non l’hanno convinta?
«Nel modo più assoluto. Qui stanno sorvolando tutti sulle questioni cruciali che ha posto De Mita. Anche Rutelli, non risponde. E quando è venuta una risposta come quella che ha tentato la Bindi, s’è visto che siamo di fronte a una confusione teorica piuttosto forte».
Il giudizio di fondo?
«Continuo a rilevare una disparità di impostazione, di linguaggi e di finalità, tra il congresso dei Ds che ho seguito attentamente sui resoconti dell’Unità e quelli portati avanti nel congresso della Margherita. I due partiti devono farsi decaffeinati, depotenziati delle loro ragioni e della loro cultura».
Che cosa manda a dire a Rutelli?
«Rutelli ha posto due questioni di fondo. Ha detto che bisogna ridare spessore alla politica, ma questo non è possibile senza una cultura. Seconda cosa, ha detto che siamo di fronte a una società frammentata, che perde coesione. Ma come intervieni, se addirittura depotenzi la tua cultura?»
E ora, che fare?
«Ci siamo riuniti con gli amici di Italia popolare, e daremo vita con vigore alla nostra iniziativa non per “sottrarre” ancora, ma per tentare di spingere i vari spezzoni e frammenti che ci sono, per metterci insieme nella prospettiva forte e comune di un rilancio politico».
A chi pensa?
«All’Udeur di Mastella, penso a Follini, allo stesso Di Pietro. È chiaro che un’organizzazione di questo genere richiede l’indipendenza totale del centro rispetto ai due blocchi. Quindi, penso anche a un dialogo che può diventare incontro e accordo con l’Udc. Se poi Berlusconi mi dà retta, come mi sono permesso di suggerirgli visto che cortesemente si è avvicinato per salutarmi, e io gli ho detto di puntare sul sistema elettorale tedesco, allora si apre davvero la ristrutturazione del sistema politico italiano».
Lei è l’ultimo grande segretario del Ppi, quello che ha resistito a Buttiglione e a Berlusconi...
«E se ne sono dimenticati. Quando Rutelli ha ricostruito la storia dell’Ulivo, ha dimenticato che a fare l’Ulivo c’era il sottoscritto».
Se ne va con rimpianto, con amarezza?
«Non è che me ne vado, sono loro che vanno via. Io rimango dov’ero. Come motto della mia vita vorrei: finisco dove avevo cominciato».


Quanto regge, secondo lei, questo Partito democratico?
«Non lo so, ma le basi sono fragili. Enrico Letta, che è una bravissima persona, ha detto: se andiamo per quote, noi saremo soltanto secondi. Ma io voglio vedere come si può non andar per quote, coi Ds».

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