IPOCRISIA FISCALE

Infuria la polemica elettorale sui dati economici italiani, e può sembrare temerario che un non addetto ai lavori s'immischi di tattiche e di strategie la cui comprensione è difficile anche per gli esperti. Tuttavia, confortato dagli innumerevoli fallimenti di profezie che i suddetti esperti avevano in altri momenti formulato, azzardo qualche considerazione terra terra. Lo faccio da uomo della strada che assiste con disappunto, se non con sgomento, allo scambio di accuse tra gli opposti schieramenti per le condizioni del Paese e per i progetti in materia di tasse.
Il centrosinistra addebita a Berlusconi una sorta di manovra terroristica mirante a diffondere la paura, a creare panico tra i risparmiatori. Il Cavaliere e i suoi dicono - questa la tesi dell’Unione - che con Prodi la pressione fiscale aumenterà, che il peso dello Stato sul cittadino diventerà più gravoso, e invece non è vero niente. Una manovra intimidatoria, e nient’altro.
Intendiamoci: alla vigilia del voto i toni sono aspri, e un tasso di strumentalizzazione faziosa del dibattito politico è inevitabile, e comprensibile. Ma non prendiamoci - e non prendiamo - in giro. L’Unità ha posto a Piero Fassino una domanda compiacente. «Niente aumenti per Bot e Cct?». Risposta. «No, nessun aumento. E i vecchi titoli in circolazione, comperati con una tassazione del 12,5 per cento, continueranno a pagare questa tassazione fino al loro rimborso. L’aliquota del 20 per cento si applicherà soltanto ai nuovi acquisti». Vorrei capire, ma non ci riesco. Nessun aumento, ma la tassa passerà dal 12,5 al 20 per cento. Una diminuzione allora?
L’esigenza di raccattare consensi impone ai partiti, lo so, molte ipocrisie. Ma la rinuncia della sinistra a un minimo di chiarezza e di lealtà verso il suo popolo mi sembra grave. La sinistra è padronissima - appartiene alla sua cultura, alla sua tradizione, alla sua storia - di considerare la rendita finanziaria alla stregua d’una rendita biecamente parassitaria, e di volerla punire più di quanto attualmente avvenga. Non è un crimine il vedere le cose a questo modo, anche se a mio avviso è un errore grave. Ma ancora più grave dell’errore è che il centrosinistra, dopo aver messo nei suoi propositi alcune misure, tenti poi goffamente di rinnegarle con giri di parole che non convincerebbero nemmeno le affezionate clienti di Vanna Marchi.
Allo stesso modo il centrosinistra s’inalbera se gli vengono attribuiti propositi statalisti e dirigisti, rifugiandosi - per dimostrarsene immune - nello sterminato programma. Ma in quel programma c’è tutto e il contrario di tutto. Vorremmo vedere nei partiti dell’Unione un maggiore orgoglio nel difendere un’impostazione generale - il pubblico è meglio del privato - che fu la loro stella polare durante molti decenni, e che lo è ancora sia per una parte importante dei Ds, sia per Rifondazione, sia per i Comunisti italiani. Hanno vagheggiato e prefigurato un certo tipo di società, e adesso, per una manciata di voti, sostengono di non averci mai pensato sul serio. In taluni momenti Prodi tenta di farci credere che il vero volto dell’Unione sia quello di Mastella o di Rutelli, «scurdammece ’o passato». Quel passato con tante e fosche ombre aveva tuttavia anche una sua dignità e una sua coerenza. Il presente è ondivago, inaffidabile e inquietante. Come per la Tav.

Perché non l’avete messa nel programma? La volete o non la volete? Di fronte a quesiti di questa nettezza e di questa schiettezza la Nomenklatura dell’Unione si avvale della facoltà di non rispondere. E poi rinfaccia al centrodestra il proposito di diffondere timori e incertezze.

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