Iran, l’arma della droga contro le sanzioni

Esponenti del regime minacciano di inondare l’Occidente di stupefacenti. Gli Usa: «Prima esaminate le nostre offerte»

Gian Micalessin

Condoleezza Rice blandisce Teheran ventilando l’idea di un incontro al vertice con i suoi ministri. La Casa Bianca invita gli iraniani a non rifiutare prima di aver aperto il pacco di proposte e incentivi approvato a Vienna nella riunione dei Paesi membri del Consiglio di sicurezza allargata alla Germania. Il segretario agli Esteri britannico Margaret Beckett ricorda che un ritorno della Repubblica islamica al negoziato sospenderebbe l’azione iniziata dal Consiglio di sicurezza.
A far sfumare qualsiasi speranza di compromesso ci pensa, invece, il presidente Mahmoud Ahmadinejad. «I tentativi di alcuni Paesi occidentali di privarci dei nostri diritti non daranno alcun frutto», dichiara il presidente pur non citando apertamente il pacchetto di incentivi che non sarebbe stato, tra l’altro, ancora reso noto alle autorità iraniane. Poco importa. Per il presidente la vera ragione di tanta contrarietà ai progetti nucleari di Teheran non deriva dalla paura dall’eventuale produzione di armi atomiche. «La vera ragione - spiega Ahmadinejad - è che l’accesso iraniano a quella tecnologia aprirebbe la strada a tutti i Paesi indipendenti, e soprattutto a molti Paesi islamici».
La spiegazione gli consente di attribuire a Israele, pur senza menzionarlo, la responsabilità delle pressioni politiche subite dagli iraniani. «Sfortunatamente qualcuno che non ha mai firmato i protocolli internazionali sulla proliferazione e possiede un largo arsenale nucleare è oggi nella posizione di decidere, tentando di negare i nostri inalienabili diritti».
La presa di posizione di Ahmadinejad sancisce il niet iraniano alle offerte dei «cinque più uno» e sigla una giornata scandita da rifiuti più o meno espliciti firmati da funzionari e politici iraniani di ogni livello. Il «no» più fantasioso resta quello formulato dall’ex ministro degli Interni e attuale procuratore capo della Repubblica islamica, Ghorban Ali Dari Najafabadi. L’alto magistrato, citato dal quotidiano conservatore Resalat, minaccia, nel caso di sanzioni, la fine dei rigidi controlli effettuati fino a oggi dai pasdaran per bloccare i carichi d’oppio ed eroina in arrivo dal confine afghano. La mossa faciliterebbe il transito di narcotici capaci d’invadere i mercati occidentali. Anche altri esponenti iraniani non escludono l’arma della droga come risposta a eventuali sanzioni.
Secondo il quotidiano riformatore Rooz Online, diffuso via internet, anche Hossein Maleki, vice presidente responsabile della lotta al narcotraffico, ha accennato giorni fa alla possibilità «di rimuovere gli attuali ostacoli sulla strada del traffico di droga dall’Afghanistan verso l’Europa, inondando l’Occidente di stupefacenti».
La Russia, confermando il suo atteggiamento ambiguo, getta intanto la prima ombra sull’intesa che avrebbe reso possibile a Vienna un primo, sostanziale accordo su una risoluzione di condanna comprendente anche un pacchetto di sanzioni. Il presidente Putin ha detto di non ritenere per il momento ancora necessario od opportuno l’uso di sanzioni. «Riteniamo sia troppo presto per affrontare quel discorso. Prima dobbiamo avere un colloquio approfondito con i leader iraniani, solo dopo potremo pensare al prossimo passo», ha detto. La dichiarazione sembra smentire Condoleezza Rice.

Il segretario di Stato americano aveva dato per certa, giovedì, l’adesione di Mosca e Pechino ai cosiddetti due «percorsi», che prevedono da una parte la sospensione delle attività nucleari, i nuovi negoziati e gli incentivi europei e dall’altra il ritorno al Consiglio di sicurezza e il voto di una «robusta» risoluzione comprendente sanzioni diplomatiche e commerciali.

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