Irpef e Iva ai Comuni? Ecco perché è giusto

Con la frase «voglio dare ai Comuni l’Irpef e l’Iva, con un accordo con Tremonti entro l’estate» Umberto Bossi dichiara di voler accelerare sul federalismo fiscale. Sulla sua affermazione è scoppiato un piccolo giallo, poi chiarito dal ministro della Semplificazione legislativa Roberto Calderoli. «Umberto voleva dire (...)
(...) che questi tributi andranno parzialmente ad appannaggio delle Regioni».
Caso chiuso? Forse, perché merita un ragionamento supplementare. Quella del Senatùr si potrebbe denominare come la strategia del carciofo: una foglia per volta, tenendo conto che il carciofo ha le spine. E quindi è meglio attuare un processo graduale, considerando gli ostacoli volta per volta, anziché fare una riforma globale, con tutte le spine tutte in una volta. Bossi ha presentato il tema in modo semplificato, secondo il suo modo di comunicare.
Diciamolo chiaramente: fare riferimento a un progetto di riforma federalista che preveda di dare ai Comuni una quota di Irpef e una nuova quota di Iva, raccolte sul loro territorio, in luogo dei trasferimenti, cioè delle somme di denaro, che essi attualmente ricevono, a carico del bilancio dello Stato, avrebbe un duplice senso. I trasferimenti di denaro sul bilancio dello Stato sono calcolati in base alla cosiddetta «spesa storica» cioè su ciò che i Comuni hanno speso nel passato. È un criterio che incentiva i Comuni a spendere tutto quello che ricevono. Ciò per evitare che l’anno seguente lo Stato dia di meno ai Comuni, che, spendendo meno, hanno mostrato di avere meno bisogno di aiuto. Dando ai Comuni quote del gettito delle imposte raccolte sul loro territorio si rovescerebbe la situazione. Anziché essere la spesa storica che determina l’entrata comunale, a carico del bilancio dello Stato, è il gettito prelevato nel Comune che genera la spesa comunale. E quindi i Comuni non sono incentivati a spendere, ma debbono fare il passo secondo la gamba, cioè in base all’entrata che loro compete.
Il secondo vantaggio di questo sistema sta nel fatto che i Comuni sarebbero incentivati a collaborare a ridurre le evasioni dell’Irpef e dell’Iva: ma ciò a condizione che la quota che viene loro assegnata sia commisurata proprio al gettito raccolto localmente e non a indici presuntivi, come attualmente per la quota di Iva, che i Comuni ricevono, che è basata sulle rilevazioni dell’Istat sui consumi locali. Per l’Irpef, il decreto di finanza pubblica che il Parlamento sta approvando, prevede una partecipazione dei Comuni all’accertamento delle evasioni e l’assegnazione a loro di una quota dei recuperi di imposte così realizzati. Devolvendo ai Comuni una quota di Irpef, riscossa localmente, si supererebbe questo particolare meccanismo, perché il Comune partecipando all’accertamento automaticamente accresce la quota di imposte di sua spettanza. Sarà molto più complicato fare qualcosa di simile con l’Iva.
C’è poi una questione irrisolta su cui si dovrebbe ragionare. Ai Comuni non si dovrebbe dare una quota di Irpef senza il potere di variare l’aliquota. Essi dovrebbero avere una loro aliquota di imposta, di natura proporzionale, compresa fra un minimo e un massimo. Nel vero federalismo la Regione e il Comune hanno potere autonomo di entrata oltreché di spesa. E quindi, quando spendono meno, applicano aliquote di imposte minori. Così la lotta all’evasione non serve per torchiare tutti i contribuenti di più, ma per alleggerire il carico di chi paga, facendone pagare una maggior quota a chi evade.
L’accelerazione sulla riforma federalista, mediante passi graduali, è una linea giusta anche se non sarà possibile chiudere la questione dell’Irpef e dell’Iva entro l’estate, perché, come si vede, sono temi tutt’altro che semplici.
Comunque, il vero metodo riformista è quello gradualista, un passo per volta. In inglese si dice piecemeal, a spizzico: un concetto pragmatico tipicamente angloamericano. Se per questa estate si dovesse cominciare a stabilire un ampliamento della addizionale di Comuni sull’Irpef, con corrispondente abbassamento dell’aliquota dello Stato e si riducessero di altrettanto i trasferimenti, si sarà fatto un primo passo importante, in una materia molto delicata. Ma occorrerà anche affrontare il problema dei Comuni che hanno un basso reddito e che hanno bisogno di un’integrazione del gettito riscosso localmente.


Inoltre c’è la questione della capacità dei Comuni di collaborare agli accertamenti tributari, e c’è il rischio che alcuni Comuni facciano crociate fiscali contro i contribuenti politicamente antipatici. Sfogliare il carciofo, con una foglia per volta, come dicevo in principio, implica di fare attenzione alle spine di ogni foglia. E il carciofo del fisco è molto spinoso.

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