In Irpinia piccolo è meglio

L'Irpinia è - enologicamente parlando - la Campania che non ti aspetti. Chi pensasse a una terra esuberante e dai frutti ubertosi resterebbe deluso. Qui siamo in un Meridione di alta quota: aspro, scabro, introverso. I vini sono il riflesso di questa anomalia geografica. I bianchi sono sapidi, minerali, eleganti, puntati più sul levare che sul battere. I rossi sono austeri, verticali, nervosi. Grandi vini per tutte le occasioni, anche quelle più nobili, e con il «plus» di prezzi quelli sì meridionali. Ovvero assai più bassi di vini omologhi per qualità di regioni più celebrate.

Durante il Vinitaly abbiamo avuto la possibilità di conoscere alcune aziende delle tante piccole che costituiscono il tessuto connettivo dell'enologia irpina, al di là dei due grandi marchi che si prendono di solito i titoli (Mastroberardino e Feudi di San Gregorio).

Siamo partiti da Torricino, azienda agricola nel comune di Tufo (c'è da chiedere che tipo di terreni ci sono?) gestita dalla famiglia Di Marzio. Una realtà piccola (7 ettari, 50mila bottiglie) di cui abbiamo assaggiato il Greco di Tufo 2017, fresco e minerale, un bianco talmente tannico da poter essere abbinato perfino alle pappardelle al cingiale; e il «cru» Greco di Tufo Raone che ha un suadente aroma di senape che evolve verso l'idrocarburo. Roba da Riesling. Poi siamo passati a Case d'Alto, azienda di Gorttaminarda che si dedica soprattutto al Taurasi, grande vino a base Aglianico. Ne abbiamo assaggiato l'annata 2012 che fa botte grande e piccola per circa 20 mesi ed è di smisurata eleganza; e il Fiano 2016 solo acciaio, davvero di scuola.

Infine I Capitani, azienda che ha più di un secolo di vita: ecco il Fiano di Avellino 2017, assai speziato; il Taurasi 2012 da vendemmia quasi tardiva; l'Emè 2013 Igt, blend di Aglianico e di altre uve rosse; e il Clarum, selezione di uve Falanghina assai piacevole.