Israele si sta preparando ad affrontare un'altra guerra

Per la prima volta dal 1948 affiora la sindrome da accerchiamento. Il Mossad: Damasco si riarma. Campagna per sensibilizzare i cittadini: come comportarsi in caso di conflitto con Siria, Iran o hezbollah

Israele si sta preparando 
ad affrontare un'altra guerra

«Miscalculation», errore di calcolo, da qualche mese la parola inglese è la più pronunciata, la più ripetuta nei comandi israeliani. Una «miscalculation» può far scoppiare la guerra. Il rischio di una «miscalculation » rende impossibile un’offensiva su vasta scala controHamas a Gaza. La paura di una «miscalculation» consiglia una campagna di sensibilizzazione per spiegare all’opinione pubblica come comportarsi in caso di guerra con Siria, Iran ed Hezbollah. Ma dietro le diverse declinazioni di «miscalculation» si nascondono soprattutto le incertezze e le paure lasciate in eredità dai 34 giorni di guerra della scorsa estate.
Quella guerra, tutti lo sanno, non è veramente finita, si è solo interrotta, può riaccendersi da un momento all’altro. Quel che è peggio può riprendere senza che nessuno in Siria, Libano o Israele lo voglia veramente. Basta una scaramuccia di frontiera, bastano alcuni colpi sparati per errore a un reparto siriano, basta un aereo intercettato per sbaglio da un nuovo missile di Damasco. Nell’attuale stato di allerta e progressivo riarmo dei tre confini un’imponderabile quanto trascurabile «miscalculation» rischia, insomma, di far saltare in aria l’instabile polveriera. Gabi Ashkenazi, il nuovo capo di stato maggiore israeliano, è il primo a saperlo, il primo a preoccuparsene. Durante esercitazioni e addestramenti il suo unico cruccio è il fronte del Nord. Lì, ricorda a ogni piè sospinto ai suoi generali, Tsahal deve essere pronto a entrare in azione in ogni momento. Lì soldati e ufficiali devono esser capaci di fronteggiare ogni minaccia, ogni «miscalculation ».
Non a caso uno scenario importante di “Avnei Esh 10”, la più cruciale esercitazione strategica degli ultimi mesi, prevedeva la ripresa delle ostilità a causa di un’imprevista e casuale bagatella di confine. Non a caso da settimane l’intelligence militare e gli analisti di Tsahal consigliano al premier Ehud Olmert di evitare in tutti i modi un’offensiva su vasta scala nella Striscia di Gaza. Quell’offensiva, viste le accresciute capacità militari di Hamas e le vaste quantità di esplosivi, mortai e micidiali armi anticarro transitate dal Sinai fino agli arsenali fondamentalisti, costringerebbe Israele a impiegare una quantità così ampia di numeri e mezzi da lasciare sguarnito il fronte siriano e libanese. Per la prima volta dalla guerra del 1948 Israele torna, insomma, a soffrire una sindrome da inadeguatezza, a temere l’accerchiamento dei nemici.
È una sindrome più psicologica che reale, ma quando l’imprevisto con cui confrontarsi non è il numero di cannoni, ma un banale errore di calcolo, realtà e apparenza fanno presto confondersi. Sul fronte dell’intelligence nulla fa, in verità, pensare a una concreta voglia di guerra di Damasco. La Siria del presidente Bashar Assad, ripetono al Mossad, sta solo completando l’ammodernamento di esercito e arsenali. Gli acquisti di nuove armi sono cospicui, l’intensificazione dei ritmi di addestramento è rilevante e l’incremento delle manovre è significativo, ma nulla segnala un attacco imminente.
La Siria, secondo il Mossad, starebbe insomma procedendo a un riarmo considerato quasi fisiologico dopo le tensioni generate dalla guerra dell’estate 2006. La paura israeliana di non poter reggere un doppio scontro sullo scacchiere di Gaza e su quello settentrionale resta, invece, un’ammissione di debolezza senza precedenti. Ad aumentare le incertezze israeliane contribuisce ovviamente la minaccia nucleare di Teheran, ma l’Iran, secondo strateghi e analisti, non è ancora il problema principale. Oggi il grande disagio di Tsahal deriva soprattutto dalla perdita nello scontro con Hezbollah, della più importante e significativa arma messa a punto in 58 anni di guerre.

Quell’arma, dispiegata nel ’67 e conservata intatta fino al luglio del 2006, si chiamava «deterrenza» ed era la principale garanzia da ogni attacco esterno. Hezbollah l’ha incrinata e ora - nonostante armi e tecnologie continuino a consacrarne la superiorità materiale - Israele si sente un po’ meno invincibile, un po’ meno sicuro, un po’ meno padrone della situazione.

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