Quando cade un uomo molto potente il tonfo è sempre fragoroso. Una massima da western all'italiana che sembra la perfetta morale del documentario Jeffrey Epstein. Soldi, potere e perversione, quattro puntate su Netflix. Diretto da Lisa Bryant e scritto insieme al giallista James Patterson, è la ricostruzione della vicenda giudiziaria del miliardario americano accusato dei peggiori reati sessuali, tra cui prostituzione di ragazze minorenni e pedofilia, conclusasi con la morte per suicidio in un carcere di New York il 10 agosto 2019, appena un mese dopo il suo arresto, in circostanze misteriose come peraltro l'intera sua vita.
Chi fosse stato davvero Jeffrey Epstein non si chiarisce neppure dopo quasi quattro ore di film. Ad esempio non si capisce come un uomo di caratura intellettuale modesta, senza un titolo di studio, senza una particolare professionalità sia riuscito a fare così tanti soldi, in quantità davvero inimmaginabili. Non basta certo la predisposizione alla truffa o al rischio, serve avere alle spalle un sistema che garantisca una copertura totale, come se il soggetto nascondesse segreti scottanti tali da mettere in profonda crisi il potere.
Qui Epstein è identificato come un bieco criminale, sul prima gli indizi sono pochi, scelta rivelatrice di una scrittura sciatta rispetto ai migliori crime movies. Si insiste invece sull'escalation della sua perversione, indifferente a ogni rischio. Protagoniste sono dunque le vittime, donne giovanissime intervistate a distanza di molti anni dai fatti contestati, concordi nella medesima versione: Epstein e la sua complice-fidanzata Ghislaine Maxwell le attiravano con il pretesto, peraltro ambiguo in partenza, dei massaggi che sfociavano inevitabilmente nella molestia e nello stupro. Un'organizzazione cui partecipano altre ragazze (qui appena nominate) incaricate di reclutare minorenni da strati sociali molto bassi, con vissuti drammatici di abusi, crimini, droga, bisogno impellente di denaro. Colpisce tra le altre la storia di una ragazza che dopo essere stata ripetutamene violentata da Epstein, gli consegna la sorella minorenne. C'è chi sostiene che per una donna sia difficilissimo uscire dal ruolo della vittima, però suona davvero improbabile che nessuna tra le centinaia di persone abusate non abbia denunciato il crimine quando venne commesso.
La morte di Epstein in carcere è strettamente collegabile al movimento #metoo e alla decisione del potere di togliere la protezione a un uomo cui era stato permesso di perpetrare reati gravissimi. Donald Trump sostiene di conoscerlo appena e anzi di averci litigato; Bill Clinton di non essere mai stato ospite nella sua isola privata, quando invece i registri parlano di 26 viaggi aerei verso la residenza del magnate; il principe Andrew, coinvolto anch'egli in un giro di prostituzione, nega persino di aver scattato una foto accanto alla ragazza di cui poi abusò.
Sono fatti ampiamente conosciuti, il documentario non aggiunge molto alla cronaca, non indaga nel profondo e, soprattutto, ha già emesso la sentenza. Le tante zone oscure restano tali: con la sua strana morte Epstein le porta via tutte.
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