Nell'introduzione al libro in cui ha raccolto la sua conversazione con il Nobel per la Letteratura 2023 Jon Fosse sulla sua conversione al cattolicesimo, il teologo Eskil Skjeldal parla di «qualcosa di ineffabile» per definire il misticismo che percorre i testi dello scrittore e drammaturgo norvegese tradotto in 40 lingue. «Anche se non lo vedevo», scrive Skjeldal in Il mistero della fede, appena pubblicato in Italia da Baldini+Castoldi (pagg. 176, euro 18, traduzione di Margherita Podestà Heir), «ho sempre percepito il substrato spirituale presente nei suoi testi. La vicinanza al biblico, sia a livello linguistico che tematico, è palese a chiunque». E infatti chiunque abbia visto a teatro un'opera di Fosse, forse il norvegese più rappresentato al mondo dopo Ibsen, sente che il piano di realtà su cui poggiano testo e azioni è sostenuto da un velo, ineffabile appunto, che li attrae senza determinarli, che li guida senza mostrarsi. Lo stesso accade a chi legga i romanzi di Fosse, riconoscendo quelli che altrove sarebbero stilemi - la ripetizione, il doppio, il flusso cercato al punto da tralasciare la punteggiatura o far «sparire le parole», come profetizza un suo personaggio in Mattino e sera - e che qui diventano «annunci». «Forse», risponde Fosse a Skjeldal a proposito della dimensione religiosa, «c'è sempre stata fin dal mio primo libro, il romanzo Raudt, svart (Rosso, nero), che ho scritto all'età di vent'anni. Ricordo di aver pensato, nella mia insensatezza, che il protagonista senza nome che finisce per togliersi la vita fosse una specie di agnello sacrificale».
Tralasciando i più noti Melancholia, Mattino e sera o la Settologia, basterebbe avvicinarsi a quello che è poco più di un libretto gonfio di luce, Un bagliore (tutti i testi citati sono pubblicati da La nave di Teseo), per raccogliere il capitolo spirituale in quel lampo rivelatore che ci è familiare sin da Dante o Manzoni: lo sbandamento, la perdita, il blocco (qui, nel freddo del Nord) e poi la presenza nel buio, che a prima vista sembra follia o stupidità e poi appare per ciò che è davvero, «Forse un angelo di Dio». Inevitabile che un teologo sentisse l'urgenza di chiedere. Al primo tentativo, Fosse rifiuta di scrivere o parlare di Dio: «Sono solo un umile poeta e devo farmene una ragione». Ma i due hanno avviato una conversazione e continuano a scriversi: Meister Eckhart e Sant'Agostino, depressione e pessimismo, cattolicesimo e gnosticismo sono i temi al centro dello scambio che, per diventare Il mistero della fede, attendono l'occasione. Arriva con la commissione di una intervista da parte della rivista cattolica SEGL. Skjeldal e Fosse si incontrano tre volte - due anni dopo la conversione al cattolicesimo di Fosse, nella primavera del 2014 - a Oslo: «Io volevo sapere da lui da dove fosse partito e cosa avesse trovato nel cattolicesimo. E lui aveva intenzione di spiegare, di collocare la sua conversione in un contesto. Ci saremmo incontrati all'Hotel Bondeheimen».
È l'inizio di un dialogo magnifico su appartenenza e dubbio nella fede, silenzio, angoscia, studio matto e quotidianità filosofica e spirituale nella letteratura. Dialogo che nel teologo riaccenderà la fede cristiana («Alcuni lo definirebbero un dialogo fecondo e costruttivo. Io preferisco chiamarlo grazia», dice) e che per densità e purezza rimanda ai piani mentali dei grandi scrittori convertiti del Novecento, Bloy, Mauriac, Bernanos, Chesterton, Lewis, Rebora, Graham Greene, Flannery O'Connor, per citarne alcuni. Un dialogo che ha però una sua potente unicità, a partire da quella che Skjeldal definisce «profonda fiducia» in cui Fosse radica la sua fede. Fede che avrebbe potuto perdere per via di una esistenza dura, che inizia con la rottura di un'arteria a sette anni, incidente che lo portò alla visione di una luce mistica di pre-morte, e prosegue con una scrittura forsennata, due divorzi e un periodo di alcolismo come rifugio dal mondo: «Bevevo ogni giorno, dopo le cinque del pomeriggio, dalla fine degli anni Ottanta, e stavo bene così. Ma alla fine la situazione mi è sfuggita di mano: le cinque del pomeriggio sono diventate le quattro e ci sono stati mesi dove bevevo giorno e notte».
Fede che invece trova: è il cattolicesimo ad accoglierlo quando si riprende dal collasso, è frate Arne che lo segue per la cresima: «Quando ci penso, riesco a sentire in qualsiasi momento la presenza del sigillo sulla fronte. E mi fa bene sapere che c'è».
Un dialogo unico anche per la missione che rivela, missione che Fosse compie con l'essenza della propria poesia e il linguaggio della dimora che considera la scrittura: «La letteratura potente rivela qualcosa che non può essere detto, né mostrato, in nessun altro modo se non attraverso il modo in cui è scritta, in quel momento e in quel luogo. Dice, o mostra, l'ineffabile».
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