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Juliàn Carròn, in missione per conto di don Giùs

Nato in Estremadura nel 1950, da quattro anni il religioso spagnolo guida Comunione e liberazione. Ieri al Meeting di Rimini gli applausi di migliaia di persone ne hanno confermato la forza e il carisma

Juliàn Carròn, in missione per conto di don Giùs

Ieri il Meeting ha esposto alla luce grande del mondo il successore di don Luigi Giussani. Sta da quattro anni alla guida di Comunione e liberazione, subito dopo la morte del prete brianzolo, ma la sua statura e forza le si sono viste bene per la prima volta in queste ore, durante l’incontro in cui diecimila, poi quindicimila, poi ventimila hanno cercato di vederlo, ascoltarlo nell’immenso auditorium della Fiera di Rimini. Il tema era san Paolo. Don Julián Carrón insegna all’Università San Damaso di Madrid e all’Università Cattolica di Milano. Ha un curriculum di studi alto una spanna, studioso a Gerusalemme di Sacra Scrittura. Aveva fondato un movimento in Spagna, dove, nell’Estremadura, è nato nel 1950. Poi ha incontrato don Giussani, e ha deposto la propria creatura nelle sue mani.

Don Giussani era malato, non aveva confidenza con questo sacerdote (non è uno che la dia tanto, è figlio di contadini), non cercava di imitarlo come fanno altri, ma essendo se stesso era stato preso dall’affetto per don Giussani come nessuno, e approfondiva ciò che in teologia si chiama carisma, e non c’entra con il carisma dei politici e dei leader, è la forma che Gesù Cristo prende nella storia per essere nostro contemporaneo e rispondere ai bisogni e alle domande del nostro cuore. Così Giussani lo scelse. Stupore di tutti. Il suo vescovo, il cardinale di Madrid Rouco Varela, il massimo canonista cattolico, non voleva saperne di farlo traslocare a Milano, lo pensava buono come educatore dei suoi preti e dei suoi giovani. Dovette intervenire personalmente Papa Wojtyla perché consentisse il trasloco. (In questi giorni il cardinal Rouco Varela è al Meeting). Dopo di che Carrón - lo chiamano tutti semplicemente così: Carrón, con il suono solido e ispanico - diventò Carrón. Alla morte di don Giussani era lì. Non è che si fossero parlati molto. Non c’erano troppi consigli da dare né alcun segreto da attingere: don Giussani era stato semplicemente, totalmente ferito dalla bellezza e, amante di Cristo e degli uomini, non c’era altro da confidarsi, consigli su come comandare. Carrón stava semplicemente lì. Interveniva nelle assemblee, senza toni ispirati, con molta razionalità, esempi chiari, ironia, soprattutto reclamizzando il prosciutto serrano, specie il Pata Negra, assurto a simbolo del gusto e della bontà di ogni dono di Dio e del lavoro umano.

Il prete spagnolo gira il mondo, incontra tutti quanti può (non tutti, impossibile). Gira con una sua macchinetta. Ha un bellissimo sorriso. Non ha l’impeto romantico di don Giussani. Ma con le diversità finisco lì. Lui è lui. Bisognava ascoltarlo ieri. Chi vuole può seguirlo sul sito internet del Meeting di Rimini anche in registrata.

I successori di solito portano pesi immensi e sono trattati un po’ da usurpatori. È come se si fossero assisi sul trono di un regno ereditato senza meriti e senza neanche essere figli naturali come i monarchi asburgici. Così accade anche e specialmente nella Chiesa. Il fondatore è perseguitato, gli cavano il sangue i nemici e pure i vescovi, lo accusano di eresia, da dentro il gruppo dei suoi a un certo punto qualcuno dice sempre che è prigioniero di un manipolo che gli fa dire quel che vuole, eccetera. Lo dissero di Wojtyla, figuriamoci degli altri. Dopo morto poi accade come capitò a San Tommaso d’Aquino. Tutti a girare intorno al suo sepolcro con il turibolo, a lodarlo, quando magari l’avevano accusato di eresia qualche anno prima. Esaltato, glorificato, ma soprattutto morto. Don Carrón appena scomparso don Giùs, e sapendo di essere stato designato, ha detto parole semplicissime. «La perdita di don Giussani mi ha lasciato senza fiato. Io, di fronte a lui, sono un piccolo uomo, un poveretto. E per questo la sua scomparsa mi commuove molto di più... Sono certo che don Giussani, come un padre, da lassù continuerà ad accompagnarmi, come ha già fatto fino ad oggi». Lo sta accompagnando di certo. Oggi.

Si noti questa parola che torna sempre nel linguaggio del capo attuale di Comunione e liberazione. Insiste sempre sulla contemporaneità di Cristo: adesso, ora. Altrimenti sarebbe un pio ricordo, e non ce ne faremmo niente. Presente nella forma di una compagnia di amici. Come don Giussani insiste sulla razionalità della fede, sul fatto che essa è una conoscenza, non una credenza. Gli scienziati si appoggiano sempre sulla testimonianza di chi li ha preceduti, la loro conoscenza è per l’80-90 per cento basata sulla fede. Non è irrazionale credere. Credere non è una credenza, ma è una conoscenza che si verifica nell’esperienza. E l’esperienza mostra che Gesù Cristo oggi, vissuto in questa amicizia, corrisponde pienamente al cuore dell’uomo. E cuore non è quello disegnato sugli alberi (anche). Ma è affezione e ragione, il cui impasto costituisce l’uomo, e gli fa desiderare l’infinito.

Altro concetto molto carroniano è che «il cuore è infallibile». Ma su questo bisognerebbe sentire lui. Ieri l’hanno (l’abbiamo: io sono uno dei suoi - spero - figli) ascoltato in tanti.

Papa Ratzinger (che definì don Giussani «vero amico») lo ha chiamato ai Sinodi. Lo sente e lo riceve. Tenete d’occhio questo nome, se potete ascoltatelo e leggetelo: il professor don Julián Carrón. Per gli amici: Carrón.

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